BARBAROSSA

di Sandro Calice

BARBAROSSA

di Renzo Martinelli, Italia 2009 (01 Distribution)
Rutger Hauer, Raz Degan, Kasia Smutniak, Cécile Cassel, F. Murray Abraham, Federica Martinelli, Hristo Shopov, Antonio Cupo, Elena Bouryka, Angela Molina, Maurizio Tabani, Zoltan Butuc, Vlad Radescu, Marius Chivu.

“Barbarossa” è una fiction lunga due ore e mezza. E nemmeno delle migliori. Nella campagna intorno a Milano nel 1158 un ragazzo, Alberto da Giussano (Degan), salva la vita a un cavaliere, che si rivelerà essere l’imperatore tedesco Federico I di Hohenstaufen, detto il Barbarossa (Hauer). Federico ha un sogno, nel mito di Carlo Magno: quello dell’impero universale. Una veggente predice che avrà successo, ma dovrà guardarsi dalla falce, che lo porterà alla sconfitta, e dall’acqua, che sarà la sua morte. Il Barbarossa comincia la sua campagna dai comuni del nord Italia, Milano in testa, che cade nel 1162 anche grazie al tradimento di Siniscalco Barozzi (Abraham). I milanesi vengono dispersi, ma Alberto è cresciuto, si è innamorato della bella Eleonora (Smutniak), sopravvissuta a un fulmine e additata come strega, ed ha visto morire i suoi fratelli. E’ lui che trova l’orgoglio e la forza di ribellarsi, di spronare i comuni a unirsi contro l’imperatore, di radunare un piccolo esercito, la Compagnia della Morte. A Pontida nasce la Lega Lombarda e nel 1176 a Legnano Federico Barbarossa sarà sconfitto e messo in fuga.

Un’occasione persa. “Barbarossa” avrebbe potuto essere il nostro “Highlander”, una storia epica e fantastica, un colossal nostrano, visto che come sottolinea con fierezza lo stesso regista, è il primo film italiano in cui si usa la tecnica del “crowd replication” (moltiplicazione della folla) nelle scene di massa. Ma è tutt’altro. C’è una sceneggiatura che chiamarla fragile è un eufemismo. Una recitazione approssimativa, concitata e sopra le righe in cui si salvano solo la faccia di Hauer e la bellezza di Smutniak (la più brava). Non emerge il minimo dubbio sulla veridicità della storia (la figura “mitica” di Alberto da Giussano innanzitutto), dando anzi per scontato che si tratti di verità. Un prodotto leggero, insomma, che ha ricevuto cospicui e legittimi finanziamenti (ma non si hanno notizie di ministri che protestano, in questo caso) e che il timbro politico e di propaganda indebolisce ulteriormente.