di Sandro Calice
“Lebanon” del regista israeliano Samuel Maoz ha vinto il Leone d’Oro alla 66/a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Una scelta che, come si dice, mette d’accordo quasi tutti, per un film – una giornata nella vita di quattro giovani militari durante la guerra del Libano del 1982 - che ha ricevuto un’accoglienza tiepida in Libano e ha suscitato giudizi contrastanti in Israele. "Premiare Lebanon e' stata la decisione migliore - ha detto il presidente della giuria Ang Lee - La discussione e' stata molto breve, eravamo tutti d'accordo e siamo tutti molto felici di non essere all'interno di quel carro armato che potrebbe essere un qualunque carro armato in una qualunque guerra".
La giuria ha assegnato il Leone d’Argento per la migliore regia all’iraniana Shirin Neshat per “Zanan Bedoone Mardan - Women without men”, la storia di quattro donne nell’Iran del 1953.
Il Premio Speciale della Giuria è andato, invece, a “Soul Kitchen” di Fatih Akin, intelligente commedia di musica e cucina.
La Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile è andata a Colin Firth per “A single man” di Tom Ford, mentre la migliore attrice è stata giudicata Ksenia Rappoport per la sua interpretazione nel film "La doppia ora" di Giuseppe Capotondi.
L’unico altro premio al cinema italiano è il Premio Marcello Matroianni a un giovane attore o attrice emergente che è andato a Jasmine Trinca per “Il grande sogno” di Michele Placido.
Todd Solondz con “Life during wartime” ha vinto l’Osella per la migliore sceneggiatura. L’Osella per la migliore scenografia, invece, è andata a Sylvie Olivé per “Mr. Nobody”.
Due premi per il film filippino “Engkwentro” di Pepe Diokno, dramma sulle guerre tra bande di adolescenti, che ha vinto il Leone del Futuro - Premio Venezia Opera Prima "Luigi De Laurentis” e il Premio Orizzonti. Il premio Orizzonti Doc è andato invece a “1428” di Haibin Du, documentario sul grande terremoto del Sichuan che si è verificato alle 14.28 del 12 maggio 2008.
Il Premio Controcampo Italiano, infine, è stato assegnato a “Cosmonauta”, opera prima di Susanna Nicchiarelli con Claudia Pandolfi, nella migliore tradizione di Venezia, dove spesso un film italiano fuori concorso (“La ragazza del lago”, “Non pensarci”, “Pranzo di ferragosto”) diventa un piccolo culto.
Delusione, dunque, per l’Italia. Per “Baarìa” di Tornatore, che forse ha pagato una sovraesposizione non voluta, e anche per “Lo spazio bianco” di Francesca Comencini, il più applaudito tra gli italiani in concorso, con una Margherita Buy che ambiva alla Coppa Volpi più della Rappoport. Ma una scommessa vinta per il direttore della Mostra, Muller, visto che i premi principali sono andati a opere prime: dal Leone d’Oro Maoz, a quello d’Argento Neshat, alle due coppe Volpi, Firth e Rappoport, attori per registi debuttanti come Tom Ford e Giuseppe Capotondi.
Si può dire che è stata, tra le altre cose, una Mostra “politica”. In senso nobile, per la scelta finale della giuria, che ha premiato due film che invitano a fare i conti con una storia che ancora pesa sul presente e per gli altri film (“Green days” di Hana Makhmalbaf su tutti, ma anche “Capitalism: a love story” di Michael Moore) che del presente raccontano gli incubi e gli orrori. E politico in senso basso, con film che hanno infastidito qualcuno per aver ricordato l’importanza del partito comunista nella storia del nostro Paese, fino ad arrivare alla polemica di chiusura tra Brunetta e Placido, con il regista che querela per calunnia il ministro e si chiede se tutto sia nato dalla sua dichiarazione di non aver votato per il capo del governo in carica. Cose che col cinema c’entrano davvero poco, come i tanti personaggi televisivi e da gossip che mai come quest’anno hanno impropriamente popolato il red carpet. Un segno dei tempi pure questo.
La cerimonia di premiazione, ad ogni modo, officiata dalla madrina Maria Grazia Cucinotta vestita Armani, ha riportato tutto nel suo alveo naturale. Con l’emozione di Ksenia Rappoport, che ha detto di sentirsi come se stesse volando con un “paracadente” e il perfetto italiano, invece, di un elegantissimo Colin Firth, che ha ringraziato il regista Tom Ford perché “non mi ha semplicemente chiamato per un ruolo, ma aveva una cosa profondamente personale e ha deciso di metterla nelle mie mani”. E Maoz, infine, che ha detto: “'Dedico il film ai milioni di persone nel mondo che sono tornate dalle guerre salvi, apparentemente sani, uomini che camminano, si sposano, hanno figli ma dentro di loro hanno il ricordo infisso nelle loro anime. Hanno imparato a sorridere anche con il dolore. Mi piace pensare che il mio film possa aprire le menti, farci domandare chi siamo, chi diventeremo e chi non potremo mai più essere se la guerra non la fermiamo ora”.