di Sandro Calice
Era destinato a far discutere da prima che uscisse in sala, “Il grande sogno”, il film di Michele Placido sul ’68, o meglio, sul suo ’68. E nella conferenza stampa Placido s’infervora. Lo scatena una domanda di una giornalista straniera che chiede come mai, lui che si dice di sinistra, poi si fa distribuire il film dalla Medusa di Berlusconi. “Faccio il film con la Rai e lo distruggete – risponde - lo faccio con Medusa e mi distruggete: ma con chi c…. li devo fare io i film?” E aggiunge: “Non so neanche chi è Berlusconi, e non lo voto. Voto da tutt’altra parte. Ragionando così bisognerebbe censurare tutti i film italiani presenti in questa Mostra”. Poi, rivolto alla cronista e ritenendola evidentemente americana (ma era spagnola): “La sua è una domanda stupida. Voi invadete gli altri Paesi, fate le guerre, mandate la gente a morire e poi fate film sulle guerre per far vedere quanto siete buoni…ma andate a quel paese!”.
Si torna a parlare del film, che Placido dice di voler dedicare per solidarietà all’ex direttore de ‘L’Avvenire’, Boffo, “una persona che ha lo spirito del ’68”. E conclude: “Mi auguro di insegnare qualcosa ai giovani. Mi hanno chiesto di poter proiettare il film in università, circoli di sinistra e di estrema destra, la Fondazione Farefuturo di Gianfranco Fini. Il guaio è che ci saranno troppe commedie nei prossimi anni. Il problema è che questo governo non vuole dare i soldi ai giovani che vogliono raccontare i problemi di oggi”. Per la cronaca, fischi dalla sala stampa al presidente di Medusa Carlo Rossella, come del resto avviene quasi ogni volta alle proiezioni quando appare il simbolo della casa di distribuzione.
Oltre al film di Placido, Venezia 66 presenta in concorso anche “Survival of the dead” di George Romero e “Zanan Bedoone Mardan – Women without men” di Shirin Neshat, storia di quattro donne nell’Iran del 1953, sullo sfondo del colpo di stato tramato dalla CIA, un momento cruciale della storia di quel Paese che ebbe come conseguenza la rivoluzione islamica e che lo portò ad essere come oggi lo conosciamo.
IL GRANDE SOGNO
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di Michele Placido, Italia 2008 (Medusa)
Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Luca Argentero
“Il grande sogno” in realtà sono due. C’è quello personale di Nicola (Scamarcio), ragazzo del sud, poliziotto che vuole fare l’attore. E c’è quello globale del ’68, di una generazione che voleva cambiare il mondo. Nicola è un giovane pugliese che fa il poliziotto a Roma, proprio mentre comincia il fermento nel mondo studentesco. Il suo colonnello (Silvio Orlando) capisce subito che quel ragazzo può essere più utile come infiltrato che con un casco e un manganello. Durante l’occupazione dell’università Nicola si invaghisce di Laura (Trinca), brillante figlia di una famiglia della borghesia cattolica, che a sua volta è affascinata da Libero (Argentero), figlio di operai e leader del movimento studentesco. La passione per la recitazione e l’amore per Laura metteranno in crisi Nicola. Tutti dovranno provare a scegliere il proprio destino, e lottare perché sia quello che avevano sognato.
E’ la storia di Michele Placido, Nicola è lui, come ha detto lo stesso regista:”E’ il film della mia vita, è un romanzo di formazione trasposto su pellicola”. E a vederla così, giova alla pellicola, ben diretta e con l’ottima fotografia di Arnaldo Catinari. Il contesto, invece, è difficile. Placido ha detto di aver tratteggiato un ’68 più proletario di quello raccontato da Bertolucci in “The dreamers”. Quasi a dire che non c’è nessuna pretesa di visione e giudizio globali su quella “rivoluzione”. E’ una storia personale, un romanzo popolare. Con alcuni avvenimenti messi in luce: i disordini di Valle Giulia e gli scioperi ad Avola, nel siracusano, che costarono la vita a due braccianti. E il celebre commento di Pasolini (i proletari erano i poliziotti, i figli di famiglie borghesi, invece, gli studenti), con quale Placido dice di non essere d’accordo: “Quei ragazzi borghesi mi hanno insegnato tanto. E a Valle Giulia la reazione delle forze dell’ordine fu eccessiva”. Ma fuori da questa cornice, il resto è una storia senza tempo: di sogni e amori, speranze e sconfitte, adolescenza e ribellione, famiglia e ipocrisie. Con tutto il fascino e i limiti di una storia così.
SURVIVAL OF THE DEAD
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di George Romero, Canada 2009 (Voltage)
Kathleen Munroe, Kenneth Walsh, Athena Karnakis, Alan Van Sprang, Devon Bostik, Stefano Colacitti, Matt Birman, Joris Jarsky, Richard Fitzpatrick
Deve divertirsi parecchio il settantenne Romero a presentare in concorso a Venezia 66 il sesto film della sua carriera dedicato agli zombie, quasi un riconoscimento alla sua storia personale più che – realisticamente – un serio candidato al Leone d’Oro. La trama. Su un’isola della costa nordamericana i morti tornano a risvegliarsi. I capi di due famiglie, nemiche da sempre, reagiscono diversamente. Uno non vuole eliminarli definitivamente, sperando nella misericordia divina, l’altro li uccide tutti, e per questo viene mandato via. Sulla terraferma si imbatte in un gruppo di sopravvissuti che decidono di tornare con lui sull’isola. Dove scoprono che fine fanno i morti viventi. La lotta per la sopravvivenza non sarà solo quella contro gli zombie.
Per Romero, lo sappiamo e lui lo ripete ogni volta, i suoi film hanno un senso politico, sono una metafora: in questo caso l’ossessione per il nemico, per il diverso, delle società occidentali e gli orrori a cui queste società sono disposte ad arrivare pur di mantenere l’ordine costituito. Una condanna delle guerre e la rivelazione (?) che gli esseri umani sanno essere più mostri dei mostri. Bene. Il punto è che, mentre il celebre “La notte dei morti viventi” del 1968 ha segnato la storia del cinema e dell’horror in particolare, con questo sesto episodio siamo ben oltre il manierismo, siamo al gioco con gli stili, le citazioni e il fare cinema alla vecchia maniera, senza troppi effetti speciali. Questi zombie intrappolati in questa sfida western fra due bande di fanatici non fanno paura per nulla. Ma forse era proprio quello che il vecchio Romero voleva.