di Sandro Calice
Sono due i film in concorso nella giornata di lunedì a Venezia 66, anche se probabilmente sono i tre Fuori concorso ad attirare l’attenzione. In gara per il Leone d’Oro ci sono “36 vues du Pic Saint Loup – Questione di punti di vista” di Jacques Rivette e “Ahasin Wetei – Between two worlds” di Vimukthi Jayasundara. Tre grandi nomi, invece, fuori dalla competizione: Steven Soderbergh con “The Informant”, Abel Ferrara con “Napoli Napoli Napoli”, un ritratto della città che parte da una serie di interviste alle donne recluse nel carcere di Pozzuoli, e Oliver Stone con “South of the border”, viaggio nell’America latina attraverso le parole dei presidenti di Venezuela, Bolivia, Brasile, Argentina, Paraguay, Ecuador e Cuba: un duro atto d’accusa al capitalismo e all’imperialismo statunitense. Presente alla proiezione anche il presidente venezuelano Chavez, che ha sfilato sul red carpet tra applausi e ressa di fotografi. "Sono felicissimo di essere qui - ha detto - insieme a Oliver Stone, grande lavoratore e grande narratore di storie vere. Porto il vostro paese sempre con me, nel cuore".QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA
(guarda il trailer)
di Jacques Rivette. Francia, Italia 2009 (Bolero Film)
Jane Birkin, Sergio Castellitto, André Marcon, Jacques Bonnaffé, Julie-Marie Parmentier, Hélène de Vallombreuse.
Considerato il più sperimentale tra i registi della Nouvelle Vague, Rivette ci regala una favola sull’arte e la vita nel cerchio magico del circo, e sull’arte che guarisce la vita. Kate (Birkin) torna al piccolo circo di famiglia 15 anni dopo essere stata ripudiata dal padre, morto improvvisamente alla vigilia della tournée estiva. Sulla strada incontra Vittorio (Castellitto), un viaggiatore italiano e solitario, che si appassiona alla vita del circo e decide di seguirne le tappe per un po’. C’è un ricordo doloroso nel passato di Kate, di cui nessuno vuol parlare. Ma Vittorio, intelligente, gentile, bizzarro, si guadagna la fiducia del gruppo e prima di riprendere il suo viaggio capisce che ha una missione da compiere.
Castellitto si conferma uno degli attori più eclettici ed internazionali del nostro cinema. Vittorio, il suo personaggio, è un giullare, un filosofo, un guaritore, un principe che nello spazio misterioso e sospeso del circo entra in punta di piedi, prima di farsene parte. Il circo di Rivette è un cerchio illuminato, attorno il pubblico quasi non c’è (o meglio, siamo noi), ma non è importante. Perché a chi entra in quel cerchio basta una tela colorata, una fiamma o un piatto rotto per passare dalla vita all’arte, e viceversa. Siamo tutti di passaggio, come il circo, ma le strade che possiamo prendere cambiano in continuazione.THE INFORMANT
di Steven Soderbergh, Usa 2009 (Warner Bros. Italia)
Matt Damon, Scott Bakula, Joel McHale, Melanie Lynskey
Siamo dalle parti di “Burn after reading” dei fratelli Coen, per fare un esempio recente, cioè un thriller cucito con elementi paradossali e demenziali. Ma Soderbergh non ha il tocco dei Coen. Mark Whitacre (un imbolsito e bravissimo Damon) è l’astro nascente della ADM, multinazionale dell’industria agroalimentare all’inizio degli anni ’90. Per uno strano caso, Whitacre diventa informatore dell’FBI in merito a una frode sul controllo dei prezzi. Servono prove, e Whitacre accetta di indossare un microfono e un registratore, immaginandosi come un agente segreto e profondamente convinto che alla fine la sua prova di onestà verrà addirittura premiata dall’azienda. Ma i conti cominciano a non tornare. Whitacre “scopre” sempre nuove cose e le sue versioni ogni volta diverse disorientano gli agenti dell’FBI. Presto, il confine tra verità e immaginazione sarà indistinguibile.
Tratto da una storia vera, anzi, come recita il sottotitolo, basato su un vero pettegolezzo, Soderbergh ha detto che l’idea alla base del film è che qualsiasi cosa che non potesse essere resa divertente avrebbe dovuto essere eliminata. “The informant”, in effetti, ha dei momenti esilaranti. E la sceneggiatura di Scott Z.Burns è perfetta per condurre lo spettatore nel dubbio e nello sconforto di non capire cosa stia succedendo. Resta solo l’impressione di qualcosa di incompiuto, come se la voluta leggerezza togliesse troppo spessore alla drammatizzazione, restando col fiato sospeso anche quando arriva l’atteso colpo di scena.AHASIN WETEI – BETWEEN TWO WORLDS
di Vimukthi Jayasundara. Sri Lanka, Francia 2009
Thusitha Laknath, Kaushalya Fernando, Huang Lu
La trama, in questo film, è solo un’ipotesi. Rajith precipita dal cielo nel mare. Faticosamente ne viene fuori, ma arriva in una città devastata dalla violenza, soprattutto contro i simboli della tecnologia e della modernità, come i televisori. Riesce a fuggire con due sconosciuti, che però lo abbandonano in una sconfinata campagna. Qui incontrerà diverse persone, alcune le conosce, altre conoscono lui. E apprenderà la leggenda del principe che si nascose in un albero aspettando che si compisse il suo destino.
“Nulla di ciò che è magico è inverosimile”, dice il regista. Il messaggio è che la città può essere spaventosa e rendere folli, ma la natura può essere anche peggio, con i suoi misteri e la sua incommensurabile forza. Bisogna allora abbandonarsi alle leggende, vivere la magia, non temerla, assecondare la natura e crederle se non vogliamo cedere alla pazzia. Un film di immagini, surreale, difficile, per appassionati.