Venezia 66


Stampa

Moore e Pixar, l'incubo e il sogno

'Capitalism: a love story', in concorso. Leone d'Oro alla carriera a John Lasseter

Di Sandro Calice

E’ il giorno di Michael Moore, soprattutto. Ma anche del Leone d’Oro alla carriera al fondatore della Pixar, John Lasseter, e agli altri registi della casa di produzione, Peter Docter, Andrew Stenton, Lee Unkrich e Brad Bird.

Il cartellone propone anche, in concorso, “White material” di Claire Denis. La regista francese, che ha passato la giovinezza in Camerun, racconta la storia di Maria (Isabelle Huppert) appartenente a una famiglia che nel paese africano da due generazioni ha una piantagione di caffè. Il “white material” del titolo è come gli africani chiamano i bianchi. Maria vede solo la missione di portare avanti la piantagione, proteggendo il figlio adolescente, chiudendo gli occhi davanti al mondo che le crolla attorno, alla feroce guerra civile tra ribelli e governo che ormai le è entrata dentro casa. Duro, documentato, sofferto, il film presenta alcuni momenti di grande intensità che riscattano anche il resto.


CAPITALISM: A LOVE STORY

di Michael Moore, Usa 2008 (Mikado Film)
Documentario

Il bello (e il brutto) dei film di Michael Moore è che mentre lo guardiamo diciamo: “Ah si, questo lo sapevo”. Segue indignazione, o risata liberatoria, e poi si esce dalla sala un po’ arrabbiati e un po’ sollevati, quasi che vederlo ci abbia assolto dai nostri impegni civili. Tanto che lui stesso, Moore, alla fine del film dice qualcosa del tipo:” Mi sono stancato di fare questi film da solo, datemi una mano”. E quando gli chiedono cosa resterà del suo lavoro, commenta laconico: “Popcorn e forconi”.

“Capitalism: a love story” arriva a vent’anni esatti da “Roger & Me”, primo, duro, atto d’accusa del regista alle grandi aziende e a come condizionano la politica e la vita di tutti noi. Qui Moore parte dal sogno americano, dal consumismo sfrenato, dal fatto che ai bambini americani hanno sempre insegnato che profitto e libera impresa vengono prima di tutto, che sono concetti presenti addirittura nella Bibbia. E dimostra, con interviste, dati, storie vere, volti disperati e faccie di bronzo che quel sogno è diventato un incubo. Che anche la chiesa (quella militante, non quella delle gerarchie) considera il capitalismo il male assoluto. E il male assoluto non si corregge, si elimina. Che la politica è totalmente assoggettata al potere economico, senza differenze di schieramenti: Bush e il suo governo, ovviamente, sono i principali artefici del recente disastro, ma il film dice che anche Obama ha ricevuto finanziamenti per la campagna elettorale dalla Goldman Sachs, uno dei peggiori nemici del popolo americano, secondo il regista. Le grandi banche e aziende, insomma, sono le vere padrone dei nostri destini. Ma piccoli esempi ricordano che, in fondo, il popolo americano ha ancora forti dentro di sé gli anticorpi democratici giusti per reagire.

Intendiamoci, Moore non è un guru, né il suo film un trattato di economia. Il punto è che quel “questo lo sapevo” nel film viene messo in fila, sistematizzato, assumendo il contorno di un piano diabolico più che di uno sfortunato caso. La crisi non significa statistiche e grafici, ma persone che soffrono. E Moore ce le fa vedere. Anche con ironia, a suo modo. Ad ogni modo, è inutile raccontare tutti gli argomenti del film. Vedetelo. E magari conserviamo un po’ di indignazione anche quando si riaccendono le luci in sala.



LEONE D’ORO ALLA CARRIERA – JOHN LASSETER E LA PIXAR

“Importa chi sei, non come usi la tecnica”. Parola di John Lasseter, che con la sua Pixar, oggi Disney Pixar, ci ha regalato capolavori come “Toy Story”, “A Bug’s Life”, “Cars”, “Monsters & Co”, “Alla ricerca di Nemo”, “Gli Incredibili”, “Ratatouille”, “Wall-E” e l’ultimo “Up”. Tutti titoli e personaggi entrati con forza, e simpatia, nell’immaginario collettivo.

Lasseter riceve a Venezia 66 il Leone d’Oro alla carriera insieme ai suoi colleghi della Pixar. Nato a Hollywood nel 1957, con la sua passione per il disegno e la tecnologia, vince numerosi premi già da ragazzo. Nel 1980 lavora nel reparto animazione della Disney e nel 1984 è nel settore Graphics della Computer Division della Lucasfilm. Nel 1986 fonda, con Steve Jobs e Ed Cattmull, la Pixar. Da allora, una valanga di riconoscimenti, fino a “Toy Story” (1995) vincitore di un Oscar speciale e primo film di animazione nominato per la miglior sceneggiatura originale.

Sono due, sostanzialmente, le carte vincenti della casa di produzione: la lavorazione artigianale, ancora alla base del processo creativo, nonostante l’uso della più moderna tecnologia, e l’utopia dichiarata di Lasseter: una struttura di produzione industriale “governata” dagli artisti, in continua collaborazione creativa. Con una sola filosofia:“Adoriamo tutte le tecniche, ma è la narrazione, storia e personaggi avvincenti, la cosa più importante, quello che rimane. Le emozioni prima di tutto”.