di Sandro Calice
Dalla Francia all’Oriente, passando per l’America di Herzog, sono quattro i titoli in concorso nella giornata di sabato a Venezia 66. Herzog, dopo “Il cattivo tenente”, con il film a sorpresa ha due titoli in competizione. “My son, my son, what have you done?” è tratto da una storia vera. E’ la storia di Brad, aspirante attore che recita in una tragedia greca e che commette nella realtà il crimine che deve mettere in scena. Il regista dice di aver voluto fare un horror “senza sangue e seghe elettriche, ma con una paura anonima che strisciasse sotto la pelle”. Il risultato è apprezzabile, ma senza particolari emozioni.
“Persécution” del francese Patrice Chéreau, invece, è la storia di Daniel, ragazzo indurito dalla vita ma buono e gentile. Ama Sonia, ma è angosciato dai dubbi sull’amore di lei. Poi nella sua vita irrompe uno sconosciuto che inizia a perseguitarlo. Un film noioso.
L’Oriente, dopo “Prince of tears”, presenta due film molto diversi.
TETSUO THE BULLET MAN
di Shinya Tsukamoto, Giappone 2009 (Coproduction Office)
Eric Bossik, Akiko Monou, Shinya Tsukamoto
Vent’anni dopo la creazione del personaggio in “Tetsuo: the iron man”, ripreso nel 1992 in “Tetsuo II: body hammer”, Tsukamoto torna a raccontare dell’uomo che si fa macchina, del metallo che fagocita e ingloba la carne, degli incubi metropolitani e della distruzione di massa.
Anthony è un uomo d’affari americano che vive con la moglie giapponese a Tokyo. Hanno un figlio, Tom, che un giorno viene brutalmente e inspiegabilmente ucciso da un uomo misterioso. La rabbia scatena in Anthony una mostruosa trasformazione, col ferro che gradualmente prende il posto del suo corpo. E mentre cerca l’assassino del figlio, scopre le terribili verità sul padre, sugli esperimenti genetici compiuti da Stati Uniti e Giappone nel Dopoguerra, su sua madre, soprattutto. Anthony si trasforma gradualmente in un’arma definitiva in grado di distruggere tutto: la scelta sarà tra odio e amore.
Spesso simile ad una installazione di arte contemporanea, un’orgia di suoni e immagini non sempre gradevoli, il film affronta il tema della vendetta che può recare più distruzione dell’offesa (l’11 settembre non è lontano), della rabbia e della frustrazione da tenere a freno in una società civile, perché l’uomo stesso non diventi un’arma letale, della paura tutta metropolitana - e molto giapponese – della città, e della civiltà moderna in generale, di ferro e cemento che “mangia” l’essere umano. E risolve piuttosto sbrigativamente il contesto fantascientifico (gli androidi innanzitutto) con qualche credito – solo dal punto di vista dell’immagine - più verso David Conenberg che verso Ridley Scott. Per appassionati del genere.
YI NGOI (ACCIDENT)
di Soi Cheang. Hong Kong, Cina 2009 (Media Asia distribution)
Louis Koo, Richie Jen, Feng Tsui Fan, Michelle Ye, Lam Suet, Han Yugin, Monica Mok.
“Accident” è un thriller ben congegnato con un’ottima idea alla base. “Il Cervello” è un killer freddo e spietato, dall’apparenza insospettabile. E’ il capo di una banda (Lo Zio, Donna e Trippa) che uccide le sue vittime con quelli che sembrano incidenti ma che in realtà sono scene del crimine architettate alla perfezione. La moglie è morta in un incidente d’auto e da allora è tormentato dai sensi di colpa e fugge ogni emozione. Durante una missione uno dei suoi uomini muore travolto da un autobus. Cervello si convince che non è stato un caso: qualcuno vuole sterminare la sua banda con le sue stesse tecniche. Individua in Fong, il funzionario di un’assicurazione, il capo del complotto, e comincia a sorvegliarlo. L’ossessione incalza, la lucidità cede il posto alla paranoia. Cervello dovrà distinguere la Realtà dal Caso e fare la sua mossa, prima che sia troppo tardi.
Soi Cheang, noto soprattutto per il violentissimo “Dog Bite Dog”, si cimenta con un film di genere provando, come ammette lui stesso, a “sfidare i codici”. L’idea, abbiamo detto, è buona, ma la narrazione presenta qualche debolezza. Si ha sensazione che i personaggi, possano dire e dare più di quello che avviene, che le loro potenzialità siano poco sfruttate. Nel gioco dell’incertezza tra messinscena e casualità, poi, mistero e tensione potevano essere mescolati meglio. Siamo quasi pronti a scommettere che prima poi ne vedremo un adattamento americano.