Venezia 66


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Le strade della disperazione

'Il cattivo tenente' di Herzog e 'Lourdes' di Hausner. In concorso anche 'Prince of tears' e 'Tetsuo the Bullet Man'

di Sandro Calice

Sono quattro i film in concorso presentati oggi a Venezia 66. “Prince of tears” di Yonfan, regista cinese cresciuto a Taiwan. Il film, tratto da una storia vera, racconta gli anni Cinquanta a Taiwan, il periodo noto come “Terrore bianco” quando nell’isola imperversava una feroce campagna anticomunista. Un fedele ufficiale dell’aeronautica viene ingiustamente sospettato di tradimento. La sua famiglia, la moglie e due bambine, ne pagheranno le conseguenze e saranno costrette a reinventarsi la vita. “Tetsuo the Bullet Man” del giapponese Shinya Tsukamoto è il terzo film sullo stesso personaggio. Un fantasy in cui si “sviscera” l’idea di un corpo umano che diventa metallico, che qui diventa un’arma letale che indaga sul misterioso omicidio del figlio.

Gli altri due film raccontano, invece, su registri diversi, dei sentieri che percorre la disperazione umana e delle scelte che possono portare alla salvezza.

BAD LIEUTENANT: PORT OF CALL NEW ORLEANS

di Werner Herzog, Usa 2008 (Andrea Leone Films)
Nicolas Cage, Eva Mendes, Val Kilmer, Michael Shannon, Jennifer Coolidge, Fairuza Balk

Herzog ci tiene a sottolineare che il suo film, a dispetto del titolo (“Il cattivo tenente”) non è un remake del film del 1992 di Abel Ferrara con Harvey Keitel. Ha ragione – e fa bene - perché il confronto non si pone. Tanto erano sporchi e disperati il personaggio e la storia di Ferrara, tanto sono più “normali” quelli di questo film.

Terence McDonagh (Cage) è un ispettore della squadra omicidi della polizia di New Orleans. Viene promosso a tenente perché nelle ore successive all’uragano Katrina salva un detenuto dall’annegamento. Nel farlo si lesiona la colonna vertebrale e il medico gli dice che dovrà convivere con dolori e farmaci per tutta la vita. Comincia ad abusare delle droghe per tenere a bada il dolore, non esitando a infrangere la legge pur di procurarsele. E’ costantemente indebitato perché scommette al gioco. La sua unica amica è Frankie (Mendes), una prostituta con cui condivide sesso e cocaina. Il padre è un ex poliziotto che sta provando a disintossicarsi. Questo il quadro, quando gli viene affidato il primo caso da tenente: l’indagine sul massacro di una famiglia di senegalesi. Hanno pestato i piedi a Big Fate, boss della droga nella zona. L’indagine e le sue debolezze lo porteranno oltre i limiti della legge e sul baratro dell’autodistruzione.

Herzog prova a costruire un noir classico, basato più sui personaggi che sulla storia. Qui, forse, la debolezza. Cage è bravo nel rendere l’idea di un uomo alla deriva, ma continua ad avere il limite di non emozionare. Mendes è come al solito bellissima, ma non basta. Quello che manca è proprio il senso di disperazione: tutto va male, ma si ha come la sensazione che alla fine arriverà il banale lieto fine. Non vi diciamo, ovviamente, se è così. Ma se l’intento del regista era quello di raccontare, nell’ambito di un plot poliziesco, la lotta di un uomo contro le proprie dipendenze, senza perdere del tutto la propria moralità, forse l’obiettivo è centrato solo in parte.

LOURDES

di Jessica Hausner, Austria 2009 (Cinecittà Luce)
Sylvie Testud, Lea Seydoux, Bruno Todeschini, Elina Lowensohn

I miracoli sono arbitrari, come tutta la vita del resto. “Lourdes” non è un film cattolico, né filosofico, ma solo – per usare le parole della regista – “il palcoscenico su cui si svolge questa commedia umana: la ricerca della felicità e della pienezza che anima ogni essere umano si scontra con l’incompiutezza e l’arbitrarietà”.

Christine (Testud) ha trascorso gran parte della sua vita paralizzata su una sedia a rotelle da una malattia incurabile. “Voglio solo essere normale”, è il suo sogno, e Lourdes le appare come l’ultima speranza. Nel luogo di pellegrinaggio, tra vezzose volontarie e affascinanti volontari dell’Ordine di Malta, Christine incontra un’umanità varia. Migliaia di persone e di storie, non solo malati nel corpo, ma anche alla ricerca di una guarigione spirituale. Come la brusca ma dolce signora Hartl, che chiede speranza dopo un’intera vita di solitudine. Christine è scettica, ma un giorno la sua mano accenna a un impercettibile movimento. E’ la guarigione? Il miracolo atteso? E perché proprio lei tra tanti? La prima reazione è quella di vivere, e provare emozioni. Come quella per il capo dei volontari. Ma attorno l’ammirazione si tramuta in invidia.

“Lourdes” guarda con occhio ironico, laico, ma documentato e rispettoso a questo leggendario luogo di pellegrinaggio dove la fede (e la disperazione) spinge milioni di persone. Non c’è nulla di logico, appunto, nei miracoli, ma l’evento è atteso quasi come dovuto, se non per sé almeno per qualcun altro. Per continuare caparbiamente a sperare. E milioni di storie, tutte importanti, tutte dolorose, si confondono in una massa unica, silenziosa e potente. Solo il “miracolato” ne emerge, trattenuto però nel gruppo dal dubbio di essere la persona giusta e che il “miracolo” sia definitivo. Hausner tratteggia una storia lineare, senza leziosità, tutta al femminile (gli uomini, pur rappresentando il Potere, sono solo di contorno), forse solo meno toccante di quello che ci si sarebbe aspettato.