SACRO E PROFANO

di Sandro Calice

SACRO E PROFANO
di Madonna, Gran Bretagna 2008 (Sacher distribuzione)
Eugene Hutz, Holly Weston, Vicky McClure, Richard E. Grant, Stephen Graham, Inder Manocha, Shobu Kapoor, Elliot Levey, Francesca Kingdon, Clare Wilkie, Hannah Walters, Ade, Guy Henry, Nunzio Palmara, Tim Wallers, Olegar Fedoro, Gogol Bordello.

Il senso della vita secondo Madonna. “Filth and Wisdom” (più o meno, Sudiciume e Saggezza), più bello della traduzione italiana, doveva essere un cortometraggio. Poi Madonna si è innamorata della storia e dei personaggi e ha deciso di allungare il brodo, finendo – racconta lei stessa – per rispecchiarsi in ognuno dei tre protagonisti principali, “un’esperienza tanto artistica quanto terapeutica”.

La trama è un pretesto. A.K. (Eugene Hutz dei Gogol Bordello) è il leader di un gruppo punk-gitano che per pagarsi la musica soddisfa le fantasie sadomaso dei suoi clienti. Vive in casa con Holly (Holly Weston), una ballerina classica di cui è innamorato e sempre in bolletta, finchè A.K. non le suggerisce di sfruttare il suo talento e il suo bel corpo come ballerina di lap dance, con risultati sorprendenti. Terzo ospite della casa, in una Londra multietnica più paese che metropoli, Juliette (Vicky McClure), farmacista con lo spirito da missionaria che sogna di andare in Africa e mal sopporta il suo datore di lavoro, un indiano con una moglie che lo stressa e una passione inconfessata per la sua dipendente. Al piano di sotto, quasi una guida spirituale, vive un poeta che ha perso l’ispirazione e la voglia di vivere quando ha perso la vista. Ma l’ottimistica, innocua, follia di A.K., che per tutto il film dispensa pillole di buon senso alla “come diceva mio padre…”, finirà per smuovere i destini di tutti.

“Sacro e Profano” è sicuramente un film fresco, divertente, che scorre svelto e ruffiano. Hutz fa pensare a Kusturica e tiene la scena da solo, Madonna qualcosa dall’ex Guy Ritchie lo prende in prestito, c’è ironia, autoironia e un po’ di mestiere. Ma la sensazione resta comunque quella di un lungo, seppur ben fatto, videoclip musicale. Va bene poi la terapia, ma la rinuncia alla “predica” avrebbe giovato.