STAR TREK

  di Sandro Calice

  STAR TREK
  di J.J.Abrams, Usa 2009 (Universal Pictures)
  Chris Pine, Zachary Quinto, Leonard Nimoy, Eric Bana,
  Bruce Greenwood, Karl Urban, Zoe Saldana, Simon Pegg,
  John Cho, Anton Yelchin, Ben Cross, Wynona Rider,
  Chris Hemsworth, Jennifer Morrison.

  “Star Trek” è una fede più che una serie, almeno per i suoi milioni 
  di fan, i “trekker”. Creato nel 1966 per la televisione da Gene 
  Roddenberry, dopo cinque serie tv e dieci film bisognava inventarsi 
  qualcosa di nuovo. Ci ha pensato J.J.Abrams, autore di serie di culto
come “Alias” e soprattutto “Lost”, e regista di “Mission: Impossible III”. Abrams è andato alle origini del mito, al primo, incredibile viaggio della U.S.S. Enterprise, all'inizio dell'amicizia tra Kirk e Spock, con un film che non tradisce gli appassionati ma che non è rivolto solo a loro.

Nel 23° il genere umano fa parte della Federazione Unita dei Pianeti, che riunisce sotto un unico governo numerosi popoli di sistemi stellari diversi. James Tiberius Kirk (Pine) è un inquieto ragazzo dell'Iowa in attesa del suo destino: 25 anni prima il padre, George Kirk, ufficiale della Flotta Stellare, è morto durante una missione: la sua nave è stata distrutta da un oscuro nemico, ma George ha fatto in tempo a mettere in salvo gli 800 membri dell'equipaggio, compresa la moglie incinta. Spock (Quinto) è un abitante di Vulcano, pianeta su cui le emozioni sono state cancellate e domina la logica. Ma Spock è un sangue misto, sua madre è umana, e nonostante sia il più brillante della sua generazione, è sempre combattuto tra istinto e ragione. Entrambi entrano nell'Accademia della Flotta Stellare, due leader destinati a scontrarsi per diventare amici. L'occasione è il viaggio inaugurale della nave U.S.S. Enterprise, quasi un'esercitazione, finquando l'oscuro nemico riemerge e i due ragazzi si troveranno a essere l'ultimo baluardo contro la distruzione dell'intera umanità.

La fantascienza di “Star Trek” è lineare, non richiede complessità di pensiero. Per certi versi è un western dello spazio, genere sublimato poi da Lucas con “Star Wars”. Il concetto fondamentale del suo creatore, Roddenberry, era quello di un futuro positivo, in cui la Terra ha debellato fame e malattie, in cui razze e popoli diversi vivono pacificamente insieme e l'ignoto da scoprire è sempre un'avventura e un'occasione. E se è vero che dal punto di vista tecnologico ha anticipato alcuni oggetti che oggi sono di uso quotidiano, come i computer palmari, da quello puramente fantascientifico non è così visionario e rigoroso. Un Asimov, un Bradbury (ma anche un banale “Ritorno al futuro”), ad esempio, non avrebbero mai accettato dettagli come la coesistenza senza effetti devastanti di due versioni della stessa persona provenienti da due linee temporali diverse. Ma sono dettagli. Abrams è attentissimo a rispettare lo spirito del mito, ma l'espediente del prequel gli lascia le mani libere per costruire un buon film di genere, con la giusta dose di azione e suspense, un racconto di fantascienza ma anche una storia di amicizia e di conflitto tra sentimento e ragione. E a oltre 40 anni di distanza, la frase con cui di apriva la serie: “Spazio, ultima frontiera”, mantiene intatto il suo fascino.