E' stato in sella per 27 anni: questo, forse, il record a cui teneva di più quando diceva di preferire l'appellativo di ''intramontabile'' a quello di ''campionissimo'' del rivale Fausto Coppi. Gino Bartali aveva vinto quasi tutto: 127 le sole vittorie da professionista, due Tour de France, con 12 tappe e 20 giorni complessivi in maglia gialla, tre Giri d' Italia, con ben 50 giorni in rosa, due Giri della Svizzera, quattro Milano-Sanremo, tre giri di Lombardia e una sequenza lunghissima di vittorie in corse minori.
Nato il 18 luglio 1914 a Ponte a Ema, la cittadina toscana che gli ha sempre tributato un profondo affetto, Ginettaccio salì in sella alla bici per la prima volta a 13 anni per la società Aquila. Cominciò assieme al fratello, morto in un incidente nel 1936. E in questo, forse, si sentì poi accomunato alla sorte di Coppi, che perse anche lui il fratello Serse in una disgrazia.
Nel 1935, ventunenne, Bartali divenne professionista collezionando le prime vittorie a catena. Ma è nel 1936 che vinse il primo Giro d' Italia. L' anno successivo è ancora maglia rosa e tenta al Tour de France: è primo in classifica quando una caduta nelle acque gelide del torrente Colau lo costringe al ritiro. La sfida è rimandata al 1938, quando Bartali prende la maglia gialla a Briancon e la porta fino a Parigi. Nel 1939 Bartali sfata la leggenda della sua scarsa propensione allo sprint: vince in volata la Milano-Sanremo e si classifica secondo al Giro d'Italia.
La guerra segna la sospensione dell'attività agonistica, ma la conclusione del conflitto lo trova ancora sui pedali e nel 1946 è primo al Giro d' Italia e in quello di Svizzera. Il secondo successo al Tour arriva a 10 anni esatti dalla prima vittoria francese. Al Tour del 1948 i giochi sembravano fatti, quando Bartali riusci a rimontare ben 20 minuti di svantaggio: è la vittoria passata alla storia anche perché arrivò in una Italia dal clima politico avvelenato dall'attentato a Togliatti che secondo molti contribui' a distendere.
Il 1949 lo vide all'inseguimento di Fausto Coppi, allora astro nascente del ciclismo europeo. In quell' anno Ginettaccio si classifico' secondo sia al Giro sia al Tour e la rivalità tra i due ciclisti italiani divenne leggendaria. L'anno successivo è quello di una nuova vittoria alla Milano-Sanremo: da allora ancora vittorie, fino all'ultima, quella del 1953 al Giro della Toscana. A 40 anni suonati, nel 1954, l' ultima apparizione agonistica prima di decidere di appendere la bici al chiodo. Burbero, scontroso, il suo motto ''tutto sbagliato, tutto da rifare'' è riecheggiato in migliaia di occasioni, usato nei più disparati frangenti. Ma anche un campione legato alla sua terra, al suo paese, immagine di un'Italia provinciale e generosa immortalata dalla canzone di Paolo Conte. I lunghi anni della pensione sono stati vissuti da Bartali tra la famiglia, i periodi di riposo estivo nella casa dei figli in Garfagnana, i riconoscimenti lusinghieri o quelli anche solo annunciati o promessi: l'istituzione di un museo a lui intitolato a Ponte a Ema, che non potrà vedere completato, o le ricorrenti proposte di nominarlo senatore a vita.
La rivalità con Coppi, che fa ancora discutere gli sportivi, lo vide anche in qualche modo contrapposto - in quegli anni epici - al Campionissimo sul piano della politica: Bartali religioso e con all'occhiello sempre il distintivo dell' Azione cattolica, a confronto con Coppi, ritenuto, o solo immaginato, ''di sinistra''. Tra i due uno scatto fotografico, quello del discusso e famoso passaggio della borraccia al Tour del 1952, sembra però fissare il senso di una solidarietà umana profonda, che proprio Bartali, rendera' pubblica nel suo struggente articolo pubblicato dal quotidiano ''Il Giorno'' proprio in occasione della morte di Coppi, per ricordare il grande amico-avversario.
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