Culture


Stampa

Una giornata con Rita Levi Montalcini

Comincia alle 5 e tutti i giorni alle 10 arriva all'Ebri per insegnare alle giovani ricercatrici

  Il laboratorio al primo piano dell'Istituto Europeo di 
  Ricerche sul Cervello (Ebri) ha gli strumenti più avanzati 
  per la biologia molecolare, ma è qui che Rita Levi 
  Montalcini insegna ancora alle sue ricercatrici più giovani a 
  iniettare nelle uova di pollo l'Ngf, il fattore di crescita delle 
  cellule nervose da lei scoperto nel 1951. ''Ho cento anni e 
  ritengo di lavorare con più intensità, anche a livello 
  sociale''. Alcune delle operazioni manuali che ripete in 
  laboratorio sono le stesse di sempre, uguali ai gesti che 
  faceva nello studio arrangiato in camera da letto nel quale
  era costretta a lavorare da giovane per le leggi razziali e
  che, ancora oggi, le sue collaboratrici considerano 
  ''utilissime''.

E' seduta nel suo ufficio di presidente dell'Ebri, dove ogni mattina arriva intorno alle 10,00 per parlare degli sviluppi della ricerca con le sue collaboratrici più dirette. La giornata, però, comincia molto prima: si sveglia alle cinque e nel silenzio le piace pensare; oppure, grazie a una speciale apparecchiatura necessaria per aiutare la sua vista ormai debolissima, legge, soprattutto articoli scientifici. Intorno alle 9,30 è pronta per uscire di casa, per lavorare all'Ebri, l'istituto che sognava e che è riuscita a realizzare. ''La ricerca italiana è di altissimo livello per capacità innovativa e ingegno, anche in assenza di finanziamenti''. Il problema, ha aggiunto, è che ''questo Paese ancora favorisce i gruppi di potere più che le capacità''.

Più facile, invece, pensare al futuro della ricerca che più le sta a cuore, quella sul cervello: ''una volta questo campo era monopolio di anatomisti e comportamentisti, poi sono cadute le barriere e hanno cominciato a studiare il cervello anche fisici, chimici, informatici e biologi molecolari: sono aumentate enormemente le ricerche di grande valore sul sistema nervoso centrale''.

Dal passato, però, c'è un esempio che per Rita Levi Montalcini resta un punto di riferimento: il segreto per il quale dalla scuola dell'anatomista Giuseppe Levi, nell' università di Torino degli anni '30, sono usciti ben tre Nobel: la stessa Levi Montalcini e i suoi compagni di corso Renato Dulbecco e Salvador Luria. ''Tutti noi eravamo colpiti dal rigore assoluto al quale era improntata la personalità di Levi- racconta- e il suo modo di condurre la ricerca sulle base delle conoscenze e non di invenzioni. Non abbiamo seguito il suo campo di studi, ma come lui abbiamo sempre affrontato la ricerca con grande rigore ed entusiasmo''.

Rigore che, nella vita di laboratorio, fa binomio con libertà: ''non si possono imporre limiti di alcun tipo alla scienza, non si mettono lucchetti al cervello. Il cattivo uso della scienza non dipende dagli scienziati''. La sua libertà di studiare, Rita Levi Montalcini, ha dovuto difenderla fin da giovanissima. Prima con suo padre: ''alla mia scelta di voler studiare mio padre obiettava che per una donna non era necessario essere un professore, ma io mi sono opposta, volevo essere libera nella mia scelta''. Non sono riuscite a strapparle la libertà nemmeno le leggi razziali: ''le leggi di Mussolini mi hanno costretto a lavorare in camera da letto, ma le ricerche cominciate allora mi hanno portato al Nobel''. Il diritto a studiare continua ancora oggi a difenderlo per i piu' deboli: ''in Africa l'analfabetismo è diffuso soprattutto nelle donne'', ma grazie all'impegno della Fondazione che porta il suo nome ''siamo riusciti ad assegnare 7.000 borse di studio per le bambine, dalla scuola media all'università, speriamo di arrivare a 10.000 entro l'anno''.