Tre donne, tre età, tre stili

Escono con nuovi album sul mercato: suoni e stili assai divergenti destinati a target diversi n

Di Maurizio Iorio

Accomunate dall’appartenenza di genere (femminile), lontane anni luce per tutto il resto. Annie Lennox, Irene Fornaciari, Ginevra Di Marco. Decisamente agée la prima, lady di ghiaccio dalla città di metallo (Aberdeen, Scozia), giovanissima la seconda, già navigata la terza. Tutte e tre con nuovi album sul mercato, suoni e stili assai divergenti, ma ognuno con un fattore precipuo che ne potrebbe giustificare l’acquisto.

Annie Lennox, dunque, sugli scaffali con una selezione del suo meglio, “The Annie Lennox Collection”, scontato già dal titolo. Un riciclo, differenziato se volete, di classe, non c’è bisogno di dirlo, ma è sempre una minestra riscaldata. Look androgino, sguardo da replicante, raffinata ed elegante, altezzosamente nobile, l’ex-lady in black degli Eurythmics ripropone se stessa in versione post-band, perfetta nelle forme, meno nelle emozioni. Tanto che il tutto, seppur disegnato con estrema cura, risulta un po’ stucchevole, come il tè delle cinque dalle zie inglesi. Come tutti i grandi, che il meglio l’hanno già tirato fuori da tempo, Annie Lennox autocelebra il suo mito, che andrebbe un po’ sverniciato. Ma, nonostante il repertorio non sia all’altezza della sua voce, è proprio quest’ultima a far salire la pagella del “suo meglio”. “Con quella voce può cantare ciò che vuole” si potrebbe dire, parafrasando una vecchia pubblicità.

Irene Fornaciari, figlia d’arte, ha avuto il buon gusto di non rinnegare l’ascendenza e di non cercare percorsi arditi e sconosciuti, dall’arrivo incerto. Meglio la musica di papà, si gioca sul sicuro. Non a caso il titolo del suo secondo album, “Vintage baby”, rende l’idea della ricerca di suoni del passato, di una linea al femminile che parte da Janis Joplin ed arriva a Joss Stone. Passando per Zucchero. Anche se sa di deja vù, la giovane Fornaciari ci mette del suo, componendo la maggior parte dell’album e impreziosendo i testi con una poetica al femminile che rende giustizia alla scrittura spesso sgangherata del padre. Insomma, a parte qualche defaillance, tipo la cover di “The devil is loose” (ricordate Asha Putli, Sanremo 1978?) , “Vintage baby” si allontana parecchio dai prodotti usa e getta del momento, e fa sperare che la musica torni a graffiare, se non il cervello, almeno le orecchie.

Ginevra Di Marco, ex-vocalist dei C.S.I. di Giovanni Lindo Ferretti, è al suo quinto lavoro da solista. E migliora costantemente l’approccio alla musica altra, quella che segue i percorsi fuori dalle mappe geografiche, percorrendo le strade secondarie del mondo. Quelle che sulle mappe stradali d’America vengono disegnate di blu, le famose “Strade blu” di William Least-Heat Moon. Bretagna, Albania, Macedonia, Cuba, Maremma, Cilento, canti popolati dimenticati e recuperati da vecchi cassetti, riarrangiati con straordinaria eleganza e declamati con una voce potente, delicata, e soprattutto rispettosa. Con, in più, un Luigi Tenco d’antan e una commovente cover di “Terra mia” di Pino Daniele. Antiquariato moderno, da rispettare e recuperare, perché non si può costruire il futuro senza conoscere il passato.