LOUISE – MICHEL

  Di Sandro Calice

   LOUISE – MICHEL
  di Benoit Delépine e Gustave Kervern, Francia 2008 (Fandango)
  Yolande Moreau, Bouli Lanners, Robert Dehoux, Sylvie Van Hiel, 
  Jacqueline Knusyen, Pierrette Broodthaers, Francis Kuntz, Mathieu 
  Kassovitz

  Lo ammettono gli stessi autori: “Il cinema francese è più 
  interessato alla classe media. Appena un film parla della classe 
  operaia, diventa molto serioso. Noi volevamo fare una commedia 
  ambientata in una realtà sociale, un film a metà fra i Dardenne e i 
  fratelli Coen”. In questo, però, sono decisamente più bravi gli 
  inglesi (“Full Monty” e “Grazie, signora Thatcher", per esempio). Ma Delépine e Kervern, per 15 anni comici in tv e qui al loro terzo film, volevano fare una “esilarante e nerissima commedia”, “un western sociale”, “un film che toccasse il pubblico”. Queste le intenzioni.

Il padrone di una fabbrica nella regione francese della Piccardia inganna le sue operaie, che si ritrovano senza lavoro da un giorno all'altro, con una liquidazione di 2.000 euro dopo 40 anni di lavoro. Che fare di quei soldi? Metterli in comune per aprire una pizzeria? Oppure rilevare un'altra fabbrica? No, dice Louise (Moreau), uno strano donnone analfabeta e che parla poco: usiamoli per assoldare un killer che uccida il padrone, ci penso io. Detto fatto. Louise, però, non è un genio e trova Michel (Lanners), un improbabile mitomane. Ma se questo è un killer...! La strana coppia (e la “stranezza” si rivelerà più dirompente di quanto immaginiamo) parte alla ricerca del padrone, in un viaggio picaresco e disgraziato dagli esiti inaspettati.

I due registi individuano il loro registro nell'anarchia, si vantano di essere a digiuno di tecnica cinematografica, dicono di non pensare all'estetica ma alla storia, di aver messo la macchina da presa fissa e di aver quasi improvvisato con gli attori, tutti loro amici e non professionisti. Poi i rimandi, dal Neorealismo ai Coen passando per Ken Loach. In realtà “Louise – Michel”, che pure ha vinto il Premio Speciale della giuria per l'Originalità al Sundance Film Festival 2009 e il Premio alla Migliore sceneggiatura al Festival di San Sebastian 2008, è un film divertente, ma non troppo. Che fa riflettere, ma senza esagerare. Con un forzato senso del comico, che per funzionare può reggere la malinconia, la tristezza addirittura, ma non la crudeltà gratuita. E' insomma una grottesca galleria degli orrori, con momenti splatter e poco ritmo. E in fondo, quando un film ha bisogno di “spiegazioni” e rimanda a troppe cose, vuol dire che un'anima sua forse fatica ad averla.