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3 aprile

Esce il primo numero della Gazzetta dello Sport, Truman firma il Piano Marshall,la prima telefonata con un cellulare, muore suicida Gabriella Ferri

Viveva solo, squattrinato e malato sulle colline di Los Angeles, mentre attorno a lui si sgretolavano i castelli e i miti dei tempi d'oro: gravemente obeso e sfigurato nei tratti che avevano mandato in delirio generazioni di donne, il 'giovane leone' del cinema americano Marlon Brando, nato il 3 aprile del 1924, muore così, a 80 anni.

80 anni di leggende, che hanno segnato la storia del cinema e del costume, ma che l'America ha quasi completamente dimenticato: nel corso della sua ultima stagione, se di lui si è parlato è stato per scherzare sulla sua mole da pachiderma, come è successo durante una cerimonia degli Oscar. Per ventanni il grande divo ha vissuto come un recluso con abitudini, si dice, da semi-barbone. Nella villa che aveva a tratti diviso con Jack Nicholson (quando l'altro dongiovanni di Hollywood aveva problemi di donne). Solo pochi intimi hanno visitato il vecchio attore, minato nel fisico e nella psiche dalle gravi disavventure familiari che hanno visto la figlia Cheyenne suicida e un altro figlio, Christian, accusato di omicidio. C'è chi diceva che fosse povero in canna e non più in grado di pagare per il mantenimento dell'ultimo bastione della sua grandezza, l'eco-paradiso di Tetiaroa nel Pacifico del Sud, dove, dopo la sua morte nel 2004, sono rimaste a vivere Tarita Teriipia, la donna incontrata durante le riprese dell''Ammutinamento del Bounty' nel 1962, e il figlio che hanno avuto assieme, Simon Tehotu. A Tetiaroa, venti minuti dall'aeroporto internazionale di Tahiti, c'era un albergo di 13 stanze in cui i clienti non potevano fermarsi più di tre giorni. L'hotel è stato chiuso, in apparenza perché Brando, assediato dai debiti, aveva deciso di cedere alle pressioni degli speculatori determinati a trasformare l'atollo in un centro vacanze. Problemi di soldi, del resto, Marlon Brando ne aveva avuti da tempo: la fortuna accumulata recitando in capolavori si era sbriciolata tra processi e alimenti a ex moglie e ad amanti. Non sono stati però solo i guai personali con la giustizia ad averlo ridotto sul lastrico: gli avvocati lo hanno spellato vivo dopo l'arresto di Christian, il figlio preferito, finito in galera per aver ammazzato l'amante della sorellastra Cheyenne.

Ancora superpagato a livelli da Guinness per un'apparizione del 1978 in 'Superman', la sua ultima sul grande schermo, in coppia con Robert DeNiro in 'The Score', è stato nel 2001. Un successo di critica, ma un clamoroso fiasco ai botteghini. Qualche mese dopo, l'ultima apparizione in tv è stata accolta dai fischi: sul palcoscenico del concerto dell'amico Michael Jackson al Madison Square Garden si è lanciato in un lungo discorso fuori copione contro la violenza sui bambini. Era la sera del 7 settembre 2001: l'ultimo week-end spensierato di New York prima delle stragi al World Trade Center.

Selvaggio, scostante e intrattabile, diviso fra tragedie personali, colpi di testa esistenziali e totale immersione nel 'metodo' che ha reso celebre l' Actor's studio, ha attraversato quarant' anni di cinema tra interpretazioni magistrali e partecipazioni bislacche ma miliardarie a film di valore più che dubbio, ''modificando comunque - come ha scritto il critico David Thomson - sia nei suoi lunghi ritiri sia nei suoi migliori lavori il nostro modo di intendere la recitazione''. Fin dagli esordi indicato come l'erede di Lawrence Olivier, mostrò immediatamente di essere assai più pigro, meno ambizioso, più tormentato ma anche più sensibile al denaro dell' illustre collega inglese. Padre spirituale dei ribelli senza causa (come James Dean, che per tutta la sua breve vita lo ebbe come modello e cercò di imitarlo), ha incarnato la figura dell' attore con la A maiuscola e come molti di questa elite di interpreti ha vissuto, con il proprio mestiere, in un costante rapporto di amore-odio, di esaltazione e di disillusione.

Macchina da cinema dalla fisicità prima minacciosa e sensuale poi fin troppo debordante, è stato candidato all' Oscar otto volte vincendo due statuette ('54 e '72). Quando, nel 1951 ('Un tram che si chiama desiderio'), irrompe sullo schermo la canottiera immacolata di Kowalski-Brando, che diventerà un cult per ogni macho, l' attore ha in realtà già dato prova di straordinarie doti di immedesimazione in 'Uomini', un aspro melo' di Fred Zinneman dell' anno precedente. Qui è un reduce paraplegico, disperato e introverso, che recita praticamente solo con il volto. Con 'Un tram che si chiama desiderio' però, che aveva già interpretato a teatro, inizia la costruzione dell' icona-Brando, brutale e attraente, virile e violento, seduttivo e pericoloso.

Quello che molti definirono 'Il Metodo al lavoro', era un attore già formato e, con la complicità del regista Elia Kazan, trasformò la piece di Tennessee Williams nella storia di Kowalski più che in quella di Blanche (Vivien Leigh). D'altra parte fu con un pugno di film tutti interpretati in questo decennio che il volto e il corpo di Brando vennero consegnati alla leggenda. Con Kazan (che poco prima di morire sostenne senza falsa modestia di essere stato il regista ad averlo meglio impiegato) l' attore recita poi in 'Viva zapata' (1952) e 'Fronte del porto' (1954), che gli frutta il primo Oscar. E in un film che la critica ha sempre complessivamente giudicato mediocre ed ambiguo, nonostante gli otto Oscar, a rifulgere è proprio la sua interpretazione, perfezionistica e a tratti perfino compiaciuta, ma incancellabile soprattutto in alcune scene, come quella celebre del pestaggio.

Tra l'uno e l'altro c'era stato 'Il selvaggio' di Lazslo Benedek (1953), altra pietra miliare nell' edificazione del mito Brando nell'immaginario collettivo maschile e femminile, oltre che spia sociologica in consistente anticipo sui tempi. All'incarnazione di una gioventù insofferente e randagia Brando regalò il meglio dell' arte introspettiva dell' Actor's studio e qualche anno dopo Andy Wahrol certificò, con alcune delle sue celebri serigrafie, l' ingresso nei must popolari del giubbotto nero indossato dall' attore nel film. Prima della fine del suo decennio d' oro, gli anni '50, Brando dà anche prova di versatilità con l' Antonio di un celebre 'Giulio Cesare' (1953), il Napoleone di 'Desiree'' (1954) lo Sky Masterson di 'Bulli e pupe' (1955) e il biondo tedesco di 'I giovani leoni' (1958).

Gli anni Sessanta saranno invece quasi solo una sequenza di prove mediocri, con l' eccezione della sua unica regia ('I due volti della vendetta', 1961), di 'Riflessi in un occhio d' oro' (1967) di John Huston e di 'La fuga' (1966) di Arthur Penn. Gli anni Settanta, che si inaugurano col terzomondista 'Queimada' di Pontecorvo, ne segnano il clamoroso ritorno, grazie a due registi che lo impiegano con grande originalità in ruoli diversisissimi. Francis Ford Coppola in 'Il padrino' (1971) che gli vale il secondo Oscar, (quello che non andrà a ritirare per solidarietà con la causa dei pellerossa) e Bernardo Bertolucci nel controverso 'Ultimo tango a Parigi'. Di quest' ultimo film, doloroso e romantico, il volto sfatto di Brando ('un Mito con la pancia', secondo Maria Schneider), il suo inimitabile modo negligé di indossare qualunque cosa e, perché no, la vertiginosa credibilità nell' interpretare una sequenza di sodomia, sono gli elementi di un successo senza confini e di un caso sociologico.

Il resto, tra anni '80 e '90, sono solo apparizioni miliardarie (un miliardo al minuto, per alcuni film) e a volte imbarazzanti, eccetto che per il Kurz di 'Apocalypse Now' di Coppola (1979): nell' oscurita' scolpita da Vittorio Storaro, con la testa rasata, Brando regala un saggio di recitazione da offrire alle scuole di cinema. Ma al mestiere amato-odiato l' attore offrirà ancora la misura e l' impegno di una maturità malinconica in film come 'Un' arida stagione bianca' (1989), 'Don Juan De Marco' (1995), 'The score' (2001, che riunisce tre generazioni in cui ognuno è l'erede dell'altro: Brando, De Niro, Edward Norton), tutti segnati dal suo volto e da un corpo eccessivo ormai inutilizzabile per la recitazione se non per piccoli gesti e movenze che sono da soli momenti di puro cinema.

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Il 3 aprile nella storia

1869: Esce il primo numero della Gazzetta dello Sport 1948: Truman firma il Piano Marshall: 5 miliardi di dollari di aiuti a 16 paesi 1973: La prima telefonata con un cellulare 2004: Muore suicida la cantante Gabriella Ferri

 

 

 

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