Lo stesso salario per lo stesso lavoro è uno dei principi fondanti dell'Unione europea. Nella Ue le donne guadagnano in media il 17,4% in meno rispetto agli uomini. Spesso il loro lavoro è meno valorizzato, spesso sono attive in settori meno retribuiti. Nonostante i progressi, restano le lacune in diversi settori e la sottorappresentazione femminile nei vertici decisionali dell'economia e della politica europea. In occasione dell'8 marzo la Commissione europea ha lanciato una campagna contro le disparità retributive fra uomini e donne. Secondo la Relazione del 2009 sulla parità tra le donne e gli uomini presentata dalla Commissione europea, i progressi si accompagnano a lacune evidenti: il tasso d'occupazione femminile negli ultimi anni è aumentato costantemente (58,3%, contro il 72,5% per gli uomini), ma le donne lavorano a orario ridotto più spesso degli uomini (31,2%, contro 7,7% per gli uomini) e predominano in settori in cui i salari sono inferiori (oltre il 40% delle donne lavora nella sanità, nell'istruzione e nella pubblica amministrazione, valore doppio degli uomini). Le donne rappresentano però il 59% di tutti i nuovi laureati.
Cosa succede in Italia
In Italia i dati sono ancor più allarmanti. Ricerche recenti, riferisce l'Isfol, hanno dimostrato che, con lo stesso tipo di lavoro, permangono differenze retributive di genere pari ad oltre il 20 per cento che penalizzano le donne. Tre punti percentuali in più della media europea. E’ diffusa l'idea che la causa sia da imputare alle assenze delle donne dovute alla maternità e alla cura dei familiari (25 per cento degli uomini e il 37 per cento delle donne). Le donne attribuiscono alle minori opportunità di formazione professionale la ragione principale dell'esclusione dal mercato del lavoro. Il problema principale resta la conciliazione tra il lavoro e la gestione familiare che è ancora quasi totalmente a carico delle donne. Queste dedicano al lavoro di cura, 3.30 ore in più degli uomini. Tra le cause la mancanza di una rete dei servizi sociali pubblici adeguati e l'alto costo di quelli privati. Infatti, secondo l'Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione dei lavoratori), sia nella gestione ordinaria, settimanale, di cura della famiglia che nei casi straordinari, come quando si ammala un bambino, solo il 12 per cento si avvale di un aiuto esterno, per lo più si tratta di liberi professionisti e di imprenditori (42 per cento), con una condizione economica più agiata. Nella stragrande maggioranza dei casi (76 per cento) è comunque la madre a farvi fronte. Nel 17 per cento dei casi invece intervengono i nonni.
L’Italia, in sostanza (così come i paesi dell'area mediterranea), si caratterizza per l’assenza di forme strutturate di welfare familiare e per una spesa sociale complessivamente più bassa degli altri Stati europei, con scarse risorse destinate al sostegno delle famiglie. Nel mercato del lavoro italiano il tasso di occupazione femminile supera di poco il 45% (l’obiettivo della Strategia di Lisbona è del 60% entro il 2010), mentre quello maschile sfiora il 70%.