di Sandro Calice
WATCHMEN
di Zack Snyder, Gran Bretagna-Usa-Canada 2009 (Universal Pictures)
Malin Akerman, Billy Crudup, Matthew Goode, Jackie Earle Haley, Jeffrey Dean Morgan, Patrick Wilson, Carla Gugino, Stephen McHattie, Matt Frewer.
Difficile fare i conti con un capolavoro. E “Watchmen” di Alan Moore e Dave Gibbons, graphic novel del 1986, da cui Snyder ha tratto l'omonimo film, è indubbiamente un capolavoro della letteratura moderna. Tanto da essere selezionato da “Time Magazine” nel 2005 “tra i 100 migliori romanzi in lingua inglese dal 1923 ad oggi”. Un grande romanzo di fantascienza, un thriller, una riflessione cupa sull'umanità. E il film, con qualche leggerezza, rende l'idea.
New York, 1985. Il mondo è in piena guerra fredda, paranoico, impaurito. L'Orologio del Giorno del Giudizio, emblema della tensione tra Usa e Urss, segna sempre 5 minuti alla mezzanotte. E gli eroi vivono tra di noi: sono normali esseri umani che un tempo indossavano una maschera, ma che ora il Decreto Keene ha messo fuorilegge. Questo fino a quando qualcuno uccide Il Comico (Jeffrey Dean Morgan), membro della prima generazione di supereroi, i Minutemen, e poi dei Watchmen. Rorschach ( Jackie Earle Haley), vigilante psicopatico, l'unico che ancora indossa una maschera, decide di indagare, convinto che ci sia un complotto per uccidere e screditare tutti gli eroi mascherati. Avvisa tutti i membri della vecchia squadra: Spettro di Seta II, Gufo Notturno II, Ozymandias e soprattutto Dottor Manhattan. Quest'ultimo è l'unico che abbia realmente superpoteri, anzi molto di più: è un semidio ormai distaccato dall'umanità, in grado di manipolare la materia ed è il deterrente vivente alla guerra nucleare: finchè ci sarà lui, l'Unione Sovietica non muoverà un dito. Ma se fosse lui stesso, o uno dei suoi compagni, l'artefice dell'Armageddon? Del resto “I Watchmen vegliano sull'umanità, ma chi veglierà sui Watchmen?”, è scritto sui muri.
“Watchmen” riscrive la cultura pop - del fumetto, in questo caso - a partire dalla sua icona: uno smile schizzato di sangue. I supereroi sono solo un pretesto (Moore e Gibbons utilizzarono eroi secondari dell'universo di carta), i loro costumi sono quasi ridicoli, ma non suscitano ilarità. Rorschach, su tutti, ha un classico trench sdrucito da investigatore privato e un'inquientante maschera con le celebri macchie del test di psicologia che mutano a seconda dell'umore. Sono un pretesto nel senso che sono uno sguardo sulle paure, sulle paranoie, sulle debolezze, sugli orrori dell'umanità, solo viste dall'alto, perchè si vedano meglio.
Insieme al Cavaliere Oscuro di Miller, Moore ha decostruito il concetto di supereroe, mostrandoci il suo lato umano, quello smitizzato, cioè il peggiore. Snyder, conscio dell'ardua impresa, ha cercato di rimanere fedele al romanzo disegnato, che lo stesso Moore aveva dichiarato di non immaginare mai tradotto per il cinema. Il risultato è buono (molto diremmo, se abbiamo memoria della graphic novel), con la sola debolezza che Snyder non ha la mano visionaria di Moore, e qualche passaggio pare banale o tagliato con l'accetta. Ma come in “300”, suo precedente lavoro, (e com’è da “Sin City” in poi) ci sono le tavole disegnate a costruire e guidare le immagini sul grande schermo e a rendere il viaggio affascinante.
E sia che seguiamo Rorschach nei vicoli di New York, o il Dottor Manhattan nel suo palazzo di cristallo su Marte, o Il Comico nei feroci meandri del Sogno americano, alla fine saremo costretti a sfumare i contorni di categorie come bene e male, giusto e sbagliato, torto e ragione. In un mondo dove in fondo, forse, l’arma definitiva più che una bomba è un telecomando.