La nota politica


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Renzi rompe con l'establishment

I banchieri non vadano alle primarie

di Rodolfo Ruocco

Giovanni Bazoli ed Alessandro Profumo, i due più celebri banchieri italiani, difficilmente torneranno a votare nelle primarie del Pd dell’8 dicembre. Nell’ottobre del 2007 i due banchieri inventori di Bancaintesa e di Unicredit, i colossi del sistema creditizio italiano, andarono nei gazebo allestiti per eleggere il primo segretario del Pd: le urne allora decretarono il trionfo di Walter Veltroni.

Da allora sono passati sei anni e quattro segretari (Veltroni, Franceschini, Bersani, Epifani); non è trascorso molto tempo, ma tanta acqua è transitata sotto i ponti della caotica politica italiana. Adesso Matteo Renzi, il candidato più quotato a vincere le primarie dell’8 dicembre, boccia i banchieri. Il giovane “rottamatore” del vecchio gruppo dirigente del partito domenica ha avvertito alla Convenzione del Pd: “Se i banchieri non vengono alle primarie, io sono contento: facciano il loro lavoro di banchieri, cioè diano i loro soldi in prestito agli artigiani”. È un bel cambio di passo rispetto al passato. Il sindaco di Firenze ha tuonato: “Se ce l’ho fatta io ce la può fare chiunque. Qui c’è un’Italia che non si rassegna alla tecnocrazia e al governo dei burocrati”.

Renzi sembra voler rompere i ponti con l’establishment, con le élite, con i poteri forti che in passato hanno appoggiato il Pd, il partito nato nel 2007 dalla fusione tra Ds (sinistra di matrice postcomunista) e Margherita (forza con radici ex sinistra Dc). Non è stata del tutto una sorpresa. Il candidato forte a succedere a Guglielmo Epifani alla guida del Pd già poco più di un mese fa aveva cominciato ad attaccare “la tecnocrazia” e “la partitocrazia”. Aveva anche puntato il dito contro gli imprenditori che vivono di sussidi e non producono né ricchezza né occupazione: “Vanno rottamati alcuni personaggi dell’economia”. Aveva criticato i compensi milionari dei manager incassati, alcune volte, perfino quando si arriva al fallimento delle aziende. Aveva messo sul banco degli accusati anche i sindacati, compresa la Cgil, da sempre la confederazione vicina ai partiti della sinistra.

Renzi, progressivamente, sta declinando la sua “rivoluzione radicale”, di stile movimentista. Il suo “nuovo” Pd contro quello “vecchio” cerca di rappresentare la protesta sociale: i contribuenti tartassati dalle troppe tasse; i giovani, laureati e non, senza una prospettiva. Punta a pescare consensi tra i ceti sociali devastati e impauriti dalla crisi economica: artigiani, lavoratori autonomi, operai, disoccupati, giovani precari. I bersagli sono, in particolare, “i banchieri” e “i tecnocrati”. Sono gli stessi bersagli di Beppe Grillo e di Silvio Berlusconi. Non a caso Renzi ha annunciato di voler far concorrenza elettorale sia al Movimento 5 Stelle e sia al centrodestra: “Le prossime elezioni le vinciamo se andiamo a recuperare gli otto milioni che hanno votato Grillo, e chi non ne può più del Pdl, andandoli a prendere con le nostre idee”.

Nella élite imprenditoriale di sinistra c’è già chi si è pronunciato in favore di Renzi. Carlo De Benedetti ha annunciato qualche giorno fa: “Alle primarie voterò per Renzi”, è giovane, intelligente, empatico. Anche il presidente del gruppo Espresso-Repubblica nel 2007, come Bazoli e Profumo, andò a votare alle primarie del Pd. Anzi l’Ingegnere nel 2005, in un seminario della Margherita, incitò gli allora più giovani Veltroni e Rutelli a prendere l’iniziativa: se riuscirete a svecchiare la politica “la tessera numero uno del Partito democratico la prendo io, se volete”. Aggiunse: “Walter e Francesco, io vi voglio bene e vi esorto ad avere coraggio”. La “benedizione”, però, non portò bene né a Veltroni e né a Rutelli. Ennio Flaiano, giornalista e scrittore, diceva: “Chi mi ama mi preceda”.