Venezia 70


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Il Teorema di Terry Gilliam

Fuori concorso sorprende ‘Locke’ terry_gilliam_296

di Sandro Calice

Il folle (ma non troppo) futuro di Terry Gilliam in “The Zero Theorem” e la storia di omosessualità e violenza in “Tom à la ferme” di Xavier Dolan si sfidano per il concorso nella sesta giornata della Mostra del cinema di Venezia. Ma a sorprendere è il film fuori concorso “Locke” di Steven Knight, con un bravissimo Tom Hardy, la star del red carpet odierno insieme a Christoph Waltz. Fuori concorso anche il documentario di Alex Gibney “The Armstrong Lie”, sulla vicenda del ciclista americano trovato positivo al doping.

In visita alla Mostra il ministro per l'Integrazione Cecile Kyenge, a Venezia per un convegno per presentare la campagna di sensibilizzazione 'I have a dream', promossa dall'Autorità Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza. “Il cinema ha detto - con il suo linguaggio capace così tanto di coinvolgere e toccare nel profondo, è fondamentale per l'integrazione e i cambiamenti culturali sui migranti. Le diversità sono una grande risorsa, e noi dobbiamo lavorare sull'informazione per far capire che non devono far paura”. Al Lido anche il ministro dei Beni culturali Massimo Bray, che a un convegno sul futuro del cinema ha detto: “Vorrei che il cinema italiano fosse uno dei momenti importanti per fare grande il Paese. Vorrei dare molto spazio ad una scuola di cinematografia. Vorrei valorizzare tutte le produzioni del cinema. Vorrei fare in modo che si tornasse a vedere nel cinema italiano una delle grandi eccellenze del Paese”.

Programma intenso quello di martedì 3 settembre. C’è Amos Gitai con “Ana Arabia”, mentre fuori concorso troviamo Kim Ki-duk con “Moebius” e il film di animazione in 3D, definito straordinario da James Cameron, “Harlock – Space Pirate” di Shinji Aramaki. Ma la star della giornata è sicuramente Scarlett Johansson con “Under the skin” di Jonathan Glazer

THE ZERO THEOREM

di Terry Gilliam, Usa 2013, fantascienza
Fotografia di Nicola Pecorini
con Christoph Waltz, Matt Damon, Mèlanie Thierry, Tilda Swinton, David Thewlis, Lucas Hedges, Ben Whishaw
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Grande, vecchio Gilliam, che ci fa vedere di nuovo come si fa un film di fantascienza con due lire, se sei capace di una formidabile fantasia.

Qoehn Leth (Waltz) assembla e crea programmi informatici per la gigantesca rete neurale artificiale (un super computer senziente) della sua azienda. E’ un genio, ma è un disadattato che ha perso da tempo il piacere di vivere, che parla di se stesso col ‘noi’ e che sopravvive aspettando una telefonata che gli sveli il senso della sua esistenza. Non sopporta la gente e vorrebbe lavorare da casa, una grande ex chiesa gotica, fino a quando il misterioso manager assoluto, Management (Damon), lo accontenta a patto che si dedichi al Teorema Zero, una formula impossibile che dimostra l’annichilimento della realtà e sulla quale le migliori menti hanno perso il senno. Accetta, ma viene disturbato nel suo lavoro da Bob, il geniale figlio di Management, e soprattutto dalla meravigliosa Bainsley (Thierry), portatrice sana di passione e desiderio: due variabili esplosive nel mondo di Qoehn.

A 22 anni dal Leone d’argento per “La leggenda del Re Pescatore”, Gilliam torna a Venezia con un film girato a Bucarest in pochissimo tempo e con ancor meno soldi, un ritorno alla fantascienza dopo “Brazil” e “L’esercito delle 12 scimmie”. Ci sono tutte le cifre tipiche del regista: scenari barocchi, situazioni paradossali, elementi teatrali, inquadrature ardite, riflessioni metafisiche, follia, fuga e fantasia come diluviasse. Il film è una riflessione fiabesca sulla tecnologia: “''Quando ho girato 'Brazil', nel 1984, volevo dipingere l'immagine del mondo in cui pensavo stessimo vivendo allora. ‘The Zero Theorem’ è uno sguardo sul mondo in cui penso di vivere ora. Non voglio dare giudizi, ma il futuro ci ha sorpassato e imprigionato, e questo è anche un film su come siamo finiti impigliati nella rete di Internet: abbiamo accesso a tutto, ma viviamo separati l'uno dall'altro”. Entriamo allora in questo nuovo futuro distopico di Gilliam, un mondo di altissima tecnologia su cose e persone fatiscenti, tra psicologi virtuali e sveglie di latta, chiese di Batman Redentore e tute cibernetiche per il sesso virtuale, Cristi con telecamere al posto della testa e medici che dicono cose come. “La vita è come un virus che infetta la perfezione della morte”. Come in ‘Parnassus’, però, Gilliam non fa seguire alla bella architettura che ha inventato una narrazione pienamente convincente fino alla fine, e il film resta come emozionalmente incompleto. Ma il viaggio vale sempre la pena



LOCKE

di Steven Knight, Regno Unito 2013, drammatico
Fotografia di Haris Zambarloukos
con Tom Hardy, Olivia Colman, Ruth Wilson, Andrew Scott, Ben Daniels, Tom Holland
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Dispiace che “Locke” non sia in competizione a Venezia 70, perchè è una delle cose migliori viste finora.

Ivan Locke è il direttore dei lavori di una grande impresa di costruzioni che sta aspettando il mattino seguente per la più importante operazione della sua carriera. Una telefonata inaspettata cambia tutto: Locke deve immediatamente mettersi in viaggio in macchina per Londra, rischiando di perdere tutto quello per cui ha faticato per una vita: la famiglia, i figli, il lavoro, se stesso.

“Locke” è una splendida prova d’attore di Tom Hardy (“Inception”, “Warrior”, “Il Cavaliere Oscuro – il ritorno”) con una sceneggiatura perfetta, opera del regista stesso, che per anni ha scritto per altri, dal Frears di “Piccoli affari sporchi” al Cronenberg de “La promessa dell’assassino”. Il film in pratica è il viaggio di un’ora e mezza quasi in tempo reale in cui, come dice Knight, lo spettatore è come se fosse accomodato sul sedile del passeggero guardando Hardy/Locke che al telefono parla di volta in volta con il suo capo, col suo operaio, con la moglie, con i figli, con la persona che sta andando a trovare a Londra, tutti personaggi che non vediamo mai, come in un vecchio radiodramma, ma che alla fine abbiamo perfettamente (e sorprendentemente) presente come siano fatti. E mai che il “passeggero” sia colto da un momento di noia, anzi. Knight trasforma il viaggio e il dramma interiore di Locke in un thriller avvincente, senza una posa né una parola fuori posto.