Musica - i consigli della settimana


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Musica vecchia, memoria nuova

Cd: Hernandez & Sampedro e Beth Hart & Joe Bonamassa

di Maurizio Iorio
(maurizio.iorio@rai.it)

Joe Bonamassa & Beth HartSeesaw

La prima cosa che salta agli occhi, anzi alle orecchie, in questo album a doppia firma, è l’atmosfera, catapultata all’indietro di vent’anni da due musicisti nati negli anni ’70. Perché la rockeuse californiana Beth Hart, classe ’72, e il chitarrista newyorkese di chiare origini italiane,Joe Bonamassa, classe ’77, hanno unito le forze (come avevano già fatto nel precedente “Don’t Explain “, 2011), per riproporre una manciata di vecchi hit del soul , del rock, del blues e, perché no?, del jazz. In “Seesaw” il virtuosismo chitarristico di Bonamassa, considerato il nuovo “guitar hero”, e la ruvida potenza vocale di Beth Hart vanno a nozze in un temporaneo matrimonio d’interesse, basato sul raggiungimento di un fine: registrato il cd , ognuno per la sua strada. Entrambi hanno delle gratificanti carriere soliste, Beth Hart ha appena pubblicato il suo nuovo album “Bang bang boom boom”, Joe Bonamassa dal 2001 ad oggi ne ha sfornati ben 17, senza contare quelli realizzati in sodalizi vari, affetto com’è da una ipercinesi creativa della quale la scienza non sa dare spiegazione alcuna. Veniamo alla scaletta: la titletrack è stata sottratta al repertorio della regina del soul Aretha Franklin, “Strange fruit” (antica canzone del ’39, che denuncia i linciaggi dei neri nel sud degli States, diventandone anche sinonimo) è una delle perle nobilitate dall’interpretazione dell’irraggiungibile Billie Holiday, alla quale i due hanno rubato anche “Them There Eyes”. La cosa stupefacente è che Beth Hart non fa rimpiangere la Lady Day neanche per un secondo. Né fa rimpiangere Tina Turner in “Nutbush City Limits”, l’ultimo successo dei Turner prima della separazione. E che dire di “Sunday kind of love”, portata al successo da quel monumento del jazz che era Etta James? Romantica, sensuale, intima, come mai ci saremmo aspettati dal suo clone Beth Hart, che normalmente frequenta altri palcoscenici. “Seesaw” è una piccola delizia, è il vecchio che ritorna, la memoria che si ripropone, con linguaggi diversi, ma mai irrispettosi. E’ come Benigni che legge la Divina Commedia.


Hernandez e SampedroHappy Island (Route61)

“L’America ci ha colonizzato nel subconscio”, diceva Wim Wenders, dall’epoca di “Nel corso del tempo”, datato 1976. Aveva assolutamente ragione, visti i film che ha poi girato “nel corso del tempo”, per l’appunto: “Paris Texas”, “Hammet”, “L’amico americano” “The million dollar hotel”, tanto per citare. La premessa per dire che la colonizzazione subconscia non ha riguardato solo lui, ma buona parte dell’intellighentia europea, che ha subìto, suo malgrado, l’infiltrazione culturale americana nel campo delle arti visive, della musica, della letteratura. E se in passato la dipendenza si risolveva in una pedissequa scopiazzatura, oggi le piccole isole anglofone sparse in Europa fabbricano prodotti di qualità, neanche avessero avuti i natali in Texas o in California. La nostra “Happy Island” è l’Emilia-Romagna, e come poteva essere altrimenti? La patria di Guccini (mica a caso “Fra la via Emilia e il West”), di Ligabue, di Vasco, estesa fino al Veneto dei Bubola e dei Priviero, non poteva che essere il terreno di coltura di tanti piccoli neo-americani, come Jack (Giacomo Balduzzi) e Graziano Romani. O come Hernandez & Sampedro, al secolo Luca Damassa e Mauro Giorgi, da Ravenna. “Happy Island” potrebbe essere tranquillamente una bella prova d’autore, Rolling Stone lo infilerebbe fra i dischi del mese, se solo fosse stato prodotto in America. Che, quanto a nuove leve, è diventata un po’ asfittica. Meno male che ci pensa la piccola Italia a rinnovare i fasti del passato (altrui), un passato che passato non è. Suono perfetto, belle chitarre, aperture melodiche in puro stile californiano, echi folk-rock di robusta memoria seventies. “The sky, the water and me” ha il piglio chitarristico dei Crazy Horse di Neil Young, “Don’t give up your dreams” ricorda la vecchia “Apache”, “Turn on the light” sa di R.E.M., il resto mette insieme frammenti di Jackson Browne, Richard Thompson, Counting Crows. Jayhawks. “Happy Island” è un lavoro cristallino, pieno di belle canzoni e di suoni assolutamente piacevoli. Uno dei migliori album “americani” di quest’anno.