I film del week end


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L'Uomo d'Acciaio

di Sandro Calice

di Zack Snyder, Usa 2013, fantasy (Warner Bros.)
Soggetto di David S. Goyer e Christopher Nolan
Fotografia di Amir Mokri
con Henry Cavill, Michael Shannon, Amy Adams, Kevin Costner, Diane Lane, Julia Ormond, Laurence Fishburne, Russell Crowe, Michael Kelly, Ayelet Zurer, Antje Traue, Jadin Gould, Tahmoh Penikett, David Paetkau, Richard Schiff, Christopher Meloni
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Di tutti i supereroi Superman è probabilmente il più difficile da raccontare, paradossalmente proprio perché è il più lineare, il primo, l’archetipo. Snyder, che già aveva osato (facendone un grande film) portare sul grande schermo il capolavoro di Alan Moore “Watchmen”, prova a dare la sua cifra al figlio di Krypton, sulla base di un soggetto di due fuoriclasse come Goyer e Nolan: il risultato è in chiaroscuro.

Krypton è ormai un pianeta morente. Tutte le sue risorse sono state consumate e lo scienziato supremo Jor-El ha avvisato il Senato che il loro tempo è scaduto, proprio mentre il capo militare, il generale Zod, decide di prendere il potere con la forza. Jor-El capisce che non c’è più speranza e che ha una sola possibilità: salvare il figlio appena nato Kal-El, il primo dopo secoli non concepito in provetta, inviandolo a bordo di un’astronave su un altro pianeta, ultimo e unico depositario dei geni di un’intera razza. Dopo 33 anni sulla Terra, Kal ha un nuovo mondo, un nuovo nome e nuovi genitori. Come il suo padre biologico, anche quello che l’ha cresciuto, Jonathan Kent, continua a ripetergli che è destinato a cambiare, come un dio, nel bene o nel male, le sorti dell’umanità. E quando una forza invincibile minaccia il nostro pianeta, lui dovrà decidere se essere Kal, Clark o quel Superman scritto nel suo destino.

E’ un Superman cupo quello che ci raccontano Snyder, Goyer e Nolan, che risente probabilmente della lettura di Batman fatta da quest’ultimo sulla base del Cavaliere Oscuro di Frank Miller. Ma è un Superman che recupera filologicamente alcuni caratteri originari del personaggio: la solitudine, l’impossibilità di una vita normale, lo straniamento dello straniero, il destino di salvatore dell’umanità. Perché in fondo Superman è un personaggio tragico, e assoluto. I supereroi con superproblemi ma (apparentemente) più “leggeri” di Stan Lee arriveranno dopo. E la lettura ironica di Richard Donner nel “Superman” del 1978 è appunto una visione personale che poco ha a che fare con l’idea originaria. Addirittura, il personaggio immaginato alla sua nascita da Siegel e Shuster all’inizio degli anni ’30 doveva essere un super cattivo, prima che l’avvento di un certo Hitler nel centro dell’Europa convincesse gli autori a farne un paladino del Bene contro il Male, l’idea catartica e ottimista che sono le azioni a definirci e che ognuno nel suo piccolo può diventare un superuomo facendo la cosa giusta. Superman è tragico perché è tragicamente incommensurabile il suo potere, davvero lui vive tra noi come un dio tra le formiche e davvero solo la sua infinita bontà ci salva dalla possibilità che ci distrugga. Lo diceva benissimo il personaggio di Bill in “Kill Bill” di Quentin Tarantino: Superman è diverso da ogni altro supereroe perché tutti gli altri si travestono per usare i loro poteri: Superman no, lui è naturalmente Superman, e deve invece “travestirsi” da Clark Kent per stare in mezzo a noi, per fare finta di essere come noi.

Tutto questo il film ce lo rende, cosa che, insieme al fatto che ci mostra - per la prima volta al cinema – Krypton e la sua storia, con una fotografia “ansiogena” e anch’essa d’acciaio, con attori tutti nella parte, dà a tutta l’operazione il suo valore. Dove Snyder inciampa (ma non è tutta “colpa” sua), è nella narrazione, nella drammatizzazione, dandoci la sensazione che a volte i momenti intimi e quelli d’azione siano più giustapposti che amalgamati, con qualche lungaggine di troppo. Vale comunque la pena di una visione.

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