Roma Filmfest


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Primi bilanci in attesa del vincitore

Gli americani in pole position muller_roma_296

di Sandro Calice e Juana San Emeterio

“Se comincio un progetto di festival per poi buttare baracca e burattini dopo un mese sarei matto”. Il direttore artistico del Festival di Roma, Muller, fa i primi bilanci di questa settima edizione e conferma che onorerà il contratto di tre anni. “In futuro arriveranno le star – spiega incontrando la stampa - quest'anno siamo stati penalizzati dalle scelte di alcuni produttori e venditori. Comunque da lunedì inizieremo a lavorare per la prossima edizione e lavoreremo anche in questo senso”. Nessun dubbio anche sul periodo scelto per la manifestazione, che resterà lo stesso anche per le prossime edizioni.

Il direttore generale Lamberto Mancini conferma un calo del 15% dei biglietti venduti, ma sottolinea con soddisfazione un identico aumento degli accrediti e l’accresciuta internazionalità, con 29 Paesi rappresentati e circa il 50% in più di giornalisti stranieri accreditati.

A poche ore dal verdetto si sprecano ovviamente le previsioni. Le voci danno in corsa per il Marc’Aurelio d’oro il divertente “A glimpse inside the mind of Charles Swan III” di Roman Coppola e il drammatico “The motel life” di Gabriel e Alan Polsky. In corsa, pare, anche l’antropologico russo “Spose celesti dei Mari della pianura” di Alexey Fedorchenko. Ma le previsioni, si sa, sono fatte per essere smentite.

Assegnati, intanto, i premi collaterali della settima edizione del Festival del Film. Il Premio Lancia 2012 - Eleganza in movimento è andato a Claudia Pandolfi; il Premio 'Enel Cuore al cinema sociale' al film 'El ojo del tiburon' di Alejo Hoijman, mentre il Premio L.A.R.A. (Libera Associazione Rappresentanza di Artisti) al miglior interprete italiano a Paolo Sassanelli per 'Cosimo e Nicole'. Il Premio A.I.C. Award for the Best Cinematography è stato assegnato a Lu Yue per '1942', mentre hanno vinto il Premio A.M.C. per il miglior montaggio Hughes Winborne e Fabienne Rawley per 'The Motel Life'. Il Premio alla carriera quest'anno se l'è aggiudicato Nino Baragli; il Premio Farfalla d'oro Agis scuola è andato alla pellicola '1942' di Feng Xiaogang. La Tao Due ha assegnato il Premio La camera d'oro 2012 per il miglior regista emergente e il miglior produttore rispettivamente ad Alina Marazzi e a Gianfilippo Pedote per 'Tutto parla di te'.



UNA PISTOLA EN CADA MANO

di Cesc Gay, Spagna 2012
Ricardo Darín, Luis Tosar, Javier Cámara, Eduardo Noriega, Leonor Watling Charlie Sheen, Jason Schwartzman, Bill Murray, Katheryn Winnick, Patricia Arquette, Aubrey Plaza, Mary Elizabeth Winstead

"L'intenzione del film era quella di fare una commedia crudele sugli uomini, realizzata in maniera radicale per puntare lo sguardo sulle loro incapacità e sulla volontà di controllo propria dei personaggi". Il regista spagnolo Cesc Gay presenta alla stampa il suo “Una pistola en cada mano” fuori concorso al Festival. "I miei personaggi, aggiunge Gay, sono inseriti in un mondo di fragilità".

Gli otto uomini protagonisti del film, tutti quaranta o cinquantenni, dialogano tra loro in varie situazioni quotidiane. I loro dialoghi seri o divertenti rivelano con il tono di leggerezza della commedia la crisi dell’identità maschile, tipica di una generazione. Durante le conversazioni sono un po’ patetici, un po’ disorientati tentano di raccontarsi o di nascondersi reciprocamente. Uno è depresso nonostante tutto sembra andargli bene, l’altro a cui va tutto male cerca l’ironia della sua situazione. Quello che è scappato con un’altra donna tenta di tornare da lei. Poi c’è l’uomo tradito che cerca di capire il perché e quello sposato che corteggia la collega d’ufficio ed infine le mogli di due amici che cercano di interrogare i rispettivi mariti incapaci di parlare di se. Si ride di gusto ma si riflette anche sui tic e sulle fragilità di questo mondo maschile che si rivela in modo ironico attraverso le conversazioni. Un film riuscito che speriamo di vedere presto nelle sale.

E’ stato chiesto al regista perché questo titolo? "Quando ho scritto questa battuta ho pensato che avrebbe dato al film un tocco western, con il rimando Kirk Douglas e Robert Mitchum. E mi è sembrato di associare ironicamente la pistola a qualcos'altro, ma questo lo fanno spesso le donne". Quando li prendono poco sul serio. J.S.E.



RAZZABASTARDA

di Alessandro Gassman, Italia 2012, drammatico (Moviemax)
Fotografia di Federico Schlatter
con Alessandro Gassman, Giovanni Anzaldo, Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Matteo Taranto, Michele Placido, Madalina Ghenea, Carolina Fachinetti
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“E' vero che non sei responsabile di quello che sei, ma sei responsabile di quello che fai di ciò che sei”. E’ in questo aforisma di Jean-Paul Sartre, detto da uno dei protagonisti, che è (o vorrebbe essere) il senso del film.

Roman è un immigrato rumeno che vive nello squallore dopo essere fuggito 30 anni prima dalla miseria. Abita in una casa abusiva alla periferia di Latina ed è uno spacciatore di cocaina. Non è mai riuscito a liberarsi dalle catene di quell’esistenza, ed allora ha deciso di condurla fino in fondo per garantire un futuro e una nuova vita a suo figlio Nicu, il suo Cucciolo, abbandonato alla nascita, 18 anni prima, da sua madre. La vita di Roman è fatta di espedienti e di rabbia, di rischio ed istinto, di forza e disperazione, tra amici pronti a morire per te o disposti a venderti per nulla. E’ questo che vede e ha imparato Nicu, che pure è diverso dal padre, ma forse non abbastanza.

“Razzabastarda” è un adattamento della piece teatrale portata in scena da De Niro a Off Broadway nel 1984, “Cuba and His Teddy Bear” di Reinaldo Povod, che racconta la storia di un rapporto d'amore contrastato tra un padre, spacciatore di eroina, e un figlio tossicodipendente, ambientata tra i profughi cubani nel Bronx negli anni '60. Gassman, che qui esordisce alla regia e che ha già portato questa storia in teatro col titolo di “Roman e il suo cucciolo”, dice di non aver pensato tanto a Pasolini, piuttosto “Razzabastarda” potrebbe essere un “lontano cugino” di “La Haine (L’odio)”, il film di Mathieu Kassovitz del 1995 sulle Banlieue di Parigi. Da qui anche l’uso di un efficace bianco e nero, essenziale, metallico, sporco, con una fotografia (e una grafica) che ricordano il “Sin City” di Robert Rodriguez. Un po’ fumetto, in effetti, questo film lo è: nel senso spiegato dallo stesso regista quando dice: “Credo che papà avrebbe amato questo film senza orpelli: credibile, ma non totalmente realistico”. I personaggi sono spesso e volutamente caricaturali, con toni e comportamenti sopra le righe, senza però scadere nella macchietta, mantenendo anzi la giusta dose di tragicità. Il limite semmai è che a un certo punto danno l’impressione di restare un po’ fermi, di avvitarsi su se stessi,lasciandosi condurre dalla storia piuttosto che imprimerle una direzione. Un esordio, comunque, che ci sentiamo di promuovere. (Sa.Sa.)