Roma Filmfest


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Alì e le commedie

Il film di Giovannesi e la francese Donzelli in concorso

Domenica 11 novembre vede in concorso “1942 (Back to 1942)” di Feng Xiaogang e “Nebesnye ženy lugovykh Mari (Spose celesti dei Mari della pianura)” di Alexey Fedorchenko, con il premio Oscar Adrien Brody che sarà sul red carpet, insieme al cast del film di Xiaogang. Fuori concorso, invece, verrà proiettato “Populaire” di Regis Roinsard.

Ma i riflettori sono puntati anche sulla selezione di Prospettive Italia che presenta il documentario di Marco Spagnoli “Giuliano Montaldo – Quattro volte vent’anni”, col egista di “Sacco e Vanzetti” protagonista del primo red carpet della giornata, e “L’isola dell’angelo caduto”, opera prima di Carlo Lucarelli.

Ieri è stato il giorno del primo film italiano in concorso, “Alì ha gli occhi azzurri" di Claudio Giovannesi, ma anche delle commedie “Main dans la main" di Valérie Donzelli, in concorso, e di "Mental" di PJ Hogan, fuori competizione. "Carlo!" di Gianfranco Giagni e Fabio Ferzetti ha inaugurato la selezione di Prospettive Italia, fuori concorso, con un Carlo Verdone formato red carpet. Paul Verhoeven ha incontrato il pubblico e ha presentato "Steekspel" un “film partecipato” con gli utenti del web. Per Alice nella città il red carpet di "Il Piccolo Principe 3D" di Pierre-Alain Chartier, coproduzione internazionale targata Rai insieme ad altre tv pubbliche.

ALÌ HA GLI OCCHI AZZURRI
di Claudio Giovannesi, Italia 2012, drammatico (BIM) - Fotografia di Daniele Ciprì
con Nader Sarhan, Stefano Rabatti, Brigitte Apruzzesi, Marian Valenti Adrian.

Giovannesi filma e racconta una storia di adolescenza multietnica alla periferia di Roma, senza filtri, senza invenzioni, col massimo del realismo. Forse troppo.

 Nader ha sedici anni, è egiziano ma è nato a Roma, vive a Ostia, il suo migliore amico è Stefano, italiano come Brigitte, la sua fidanzata. Nader vuole essere italiano,vuole essere accettato, ed è disposto a tutto per farlo: si mette lenti a contatto azzurre per dissimulare le sue origini, parla più in romanesco che in arabo e soprattutto rifiuta la cultura e la religione che i suoi genitori vogliono imporgli. Questo film è una settimana nella vita di Nader.

Giovannesi è al suo terzo lavoro dopo il lungometraggio “La casa sulle nuvole” e il documentario “Fratelli d’Italia”. In “Alì ha gli occhi azzurri” (titolo preso da un verso di “Profezia” di Pasolini) il regista ha preso uno dei protagonisti del documentario che aveva girato nel 2009, Nader, e ne ha sviluppato storia e personaggio. E lo ha fatto nella convinzione che tra documentario e film di finzione la separazione può essere spesso arbitraria e con l’assunto che l’obiettivo della scrittura dovesse essere la mancanza di invenzione. Per questo tutti i protagonisti sono non professionisti, i genitori e la fidanzata di Nader sono i suoi genitori e la sua fidanzata nella realtà, i luoghi che frequenta, i vestiti che indossa, le persone che incontra, tutto è reale. La sceneggiatura, infine, è il risultato di una serie di racconti e aneddoti raccolti ascoltando e intervistando gli stessi ragazzi. “Alì ha gli occhi azzurri” è un film intenso che parla di adolescenza, di razzismo, di integrazione, di sogni, di periferia, di degrado e pericoli, di vite che possono precipitare per un nulla, di speranze. Lo fa con un linguaggio realista che può esaltare o annoiare: uno di quei casi in cui il grigio non è dato. (Sa.Sa.)


MAN DANS LA MAIN
di Valerie Donzelli, Francia 2012, commedia
con Valérie Lemercier, Jérémie Elkaïm, Béatrice De Staël, Valérie Donzelli.


Una commedia romantica che parla di “separazione e fusione”. Valerie Donzelli in concorso al Festival con il suo terzo film “Man dans la main”, applaudito alla proiezione stampa, spiega che “anche questo, dopo “La guerra è dichiarata” (presentato a Cannes) è un film autobiografico su temi a me molto cari”. Il film racconta una sorta d’incantesimo che colpisce due persone che non potrebbero essere più diverse: Hélène (Valérie Lemercier) e Joachim (Jérémie Elkaïm). Hélène è ricca, altezzosa, pignola e dirige l’importante scuola di danza classica dell’Opéra. Joachim lavora in una ditta di specchi di provincia, va in skateboard e ha una sorella (Valérie Donzelli) ossessionata dal ballo. S’incontrano per caso e scatta una strana attrazione. Una forza s’impadronisce di loro: se uno dei due si sposta, l’altra lo segue; se la seconda si ferma, il primo torna indietro e la raggiunge, il gesto dell’uno diventa il movimento dell’altro. La singolare unione li porta naturalmente a condividere le loro vite, i gusti, le persone che frequentano fino al giorno in cui diventa possibile la separazione. Ma in quel momento i legami diventano una scelta.

''Soffrono di una sindrome da sincronia per cui non riescono a separarsi contro la loro volontà'', spiega la Donzelli. E questo li aiuta a superare i rapporti morbosi esclusivi che hanno avuto fino al quel momento (lei con un'amica e lui con la sorella.) L’incantesimo che li lega si trasforma in rassicurazione contro la solitudine e la paura dell’abbandono. “Il film è un incontro tra due persone che cresceranno insieme, un viaggio iniziatore” continua la regista che pone l’accento poi come “Mains dans la main”, sia un “film in movimento: il movimento dei corpi e delle vite dei personaggi”. Una ricerca che passa anche nella fisicità “in questo caso affidata alla danza: mi ha sempre fatto fantasticare, ci sono persone che praticano alla perfezione un gesto nel tennis, nel calcio, nel pattinaggio, e spesso non ci si rende conto del lavoro necessario. E' qualcosa di molto commovente''. Rileva la Donzelli. E come vediamo nel film il movimento può essere goffo, difficile, bello e spontaneo l’importante è trovare il giusto equilibrio. (J.S.E.)

 



MENTAL

di P. J. Hogan, Stati Uniti - Australia 2012
Fotografia di Donald McAlpine
con Toni Collette, Liev Schreiber, Anthony Lapaglia, Rebecca Gibney, Lily Sullivan, Malorie O’Neill, Nicole Freeman, Chelsea Bennet, Bethany Whitmore
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Comincia a diventare una tradizione: il Festival di Roma continua a regalare commedie intelligenti e memorabili (un paio, sfatando il mito che le commedie non vincono mai, hanno anche portato a casa il Marc’Aurelio d’oro) e dopo “Juno”, “Kill me please” e “Hysteria” quest’anno - per il momento e fuori concorso - tocca a “Mental”.

Le deliziose cinque sorelle Moochmore sono convinte di avere ognuna una diversa malattia mentale e di essere, se non proprio pazze, quanto meno “impopolari”. Del resto, pensano, con quella mamma, Shirley, così dolce e premurosa e ingenua, ma decisamente stramba, cosa potevano aspettarsi? Shirley che sorride a tutti ma che è tanto triste perché suo marito Barry, sindaco della caramellosa cittadina australiana di Dolphin Heads in cui vivono e padre delle sue bambine, non c’è mai, impegnato com’è col lavoro e con le amanti. Così Shirley crolla, Barry la fa rinchiudere in manicomio e si trova con cinque figlie che non conosce e non è in grado di gestire. Serve aiuto, e quella stagionata autostoppista perennemente fumata e con un rottweiler di nome Squartatore al seguito sembra la persona giusta. Si chiama Shaz, lei sì che è pazza davvero. Ed è venuta per cambiare tutto.

P.J. Hogan, autore di due riuscitissime commedie come “Il matrimonio del mio migliore amico” e “Le nozze di Muriel”, ha detto di essere tornato nella sua Australia perché aveva l’esigenza di “fare un film liberamente”. Si è fatto quindi produrre dal Jerry Zucker della premiata ditta “Aerei pazzi e Pallottole spuntate” (che forse lo zampino in qualche battuta ce l’ha pure messo), ha scritto una sceneggiatura - dice - decisamente autobiografica ed ha diretto questo “Mary Poppins lisergico”, come lo ha definito il direttore artistico del Festival Muller, che difficilmente non vi strapperà applausi a scena aperta, oltre a divertirvi sinceramente. E dato che qui si parla (e si ride) di pazzia e di malattia vera, giusto per zittire gli eventuali alfieri del politicamente corretto, Hogan ha raccontato: “Ho due bambini autistici e una sorella bipolare: ho un'esperienza diretta nella malattia mentale. Molti conoscono la questione solo attraverso i film e ho voluto, riuscendo a sorridere di fronte a queste malattie, essere politicamente scorretto per provocare una reazione nella gente. Sarebbe un bel giorno quello in cui si potesse dichiarare, durante un colloquio di lavoro, di aver sofferto di depressione senza incorrere nella conseguenza di essere depennati dalla lista dei candidati". Tranquilli, non fatevi troppo seri, perché “Mental” è decisamente un gran film, dove anche se qualche sincero groppo in gola potrà saltuariamente interrompere la sequenza di risate fragorose, non sarete mai veramente pronti per l’esplosivo finale. (Sa.Sa.)