Venezia 69


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L’italiano e il maestro

‘E’ stato il figlio’ di Ciprì, ‘The Master’ di P.T.Anderson

di Sandro Calice
(s.calice@rai.it)

Ci sono due registi che devono dire un grande grazie ai loro attori, nella quarta giornata della Mostra del cinema di Venezia 2012. Sono gli autori dei due film in concorso, Paul Thomas Anderson con “The Master”, interpretato da Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman, e Daniele Ciprì, primo dei quattro italiani in corsa per il Leone d’oro, che ha diretto Toni Servillo in “E’ stato il figlio”. Fuori concorso torna a Venezia Amos Gitai con “Lullaby to my father” e Liliana Cavani presenta il suo documentario sulle suore di clausura “Clarisse”.

Film importanti quelli di domenica 2 settembre. C’è soprattutto Terrence Malick, in concorso con “To the wonder”, mentre l’altro film in competizione arriva da Israele ed è “Fill the void”, opera prima di Rama Burshtein. Fuori concorso, invece, attesa per “Love is all you need” di Susanne Bier, ma anche per “La nave dolce”, il documentario di Daniele Vicari

E’ STATO IL FIGLIO
di Daniele Ciprì. Italia, Francia 2012 (Fandango)
con Toni Servillo, Giselda Volodi, Alfredo Castro, Fabrizio Falco, Aurora Quattrocchi, Benedetto Raneli.


Storia di maschere, caricaturali, grottesche, ma storia vera. Storia della Sicilia, ma storia di ogni provincia, di tanti anni fa, ma anche di oggi, di soldi che uccidono, di povertà e sopravvivenza, dell’ignoranza che soffoca buon senso e sentimenti.

Busu non ha niente da fare e nessuno con cui stare. Per questo si siede nell’ufficio postale, aspetta un turno che non gli interessa e racconta storie. “Lo sapete che una volta per un graffio alla macchina un ragazzo uccise il padre?”. Alla periferia di Palermo (ma il film è girato in Puglia) abitava la famiglia Ciraulo, il padre Nicola, la madre Loredana, il figlio nullafacente Tancredi e la piccola Serenella, nonna Rosa e nonno Fonzo. Sopravvivono. Nicola cerca di guadagnare qualcosa rivendendo il ferro che recupera sulle navi in disarmo, ma basta a malapena per mangiare. Può solo peggiorare, e peggiora. Serenella si trova per caso in mezzo a un regolamento di conti e muore colpita da un proiettile. Orrore, disperazione, Ma c’è quel vicino, Giacalone, che ha sempre una soluzione per tutto e che suggerisce di chiedere soldi al fondo statale per le vittime di mafia. I soldi ci sono, vengono concessi, 220 milioni di lire, una lotteria, ma non subito, arriveranno. Nel frattempo i Ciraulo spendono e si indebitano, così quando arrivano sono molti di meno. Che farne? Ognuno dice la sua, ma Nicola ha già deciso: compreranno una lussuosa automobile. L’atto finale della tragedia.

Tratto dal romanzo omonimo di Roberto Alajmo, “E’ stato il figlio” è “una storia che è un po’ uno specchio del mondo contemporaneo, ma che sembra anche una tragedia greca”, spiega lo stesso regista, che qui esordisce dietro la macchina da presa in solitaria, dopo il sodalizio con Maresco, e forte della sua esperienza come direttore della fotografia, soprattutto con Bellocchio per il quale ha firmato la fotografia di “Vincere” (David di Donatello) e di “Bella Addormentata”, in concorso qui alla Mostra. E si conferma uno straordinario selezionatore di caratteristi e di facce, perché oltre alla suggestiva costruzione fotografica mette nel film lo stile e le idee che già frequenta e maneggia dai tempi di Cinico Tv. Cosa che gli permette di raccontare una storia estremamente drammatica conservando uno sguardo ironico che, se da un lato non sarebbe giusto ridurre al solo grottesco, dall’altro però mantiene la narrazione su un registro “di testa” anche quando sarebbe utile la pancia. C’è anche da dire, com’era naturale aspettarsi, che senza la magnifica maschera di Servillo il film perderebbe molto. Un buon esordio, comunque, applaudito (senza esagerazioni) dalla stampa.



THE MASTER
di Paul Thomas Anderson, Usa 2012 (Lucky Red)
con Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Laura Dern
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Che il sesto film da regista di Paul Thomas Anderson, uno che ci ha regalato un capolavoro come “Magnolia” (1999) e due grandi film come “Boogie Nights” (1997) e “Il petroliere” (2007), sia o meno la storia del fondatore di Scientology Ron Hubbard, è francamente un dubbio noioso e forse anche inutile, anche se Anderson non nega la possibilità di aver preso l’ispirazione da lì e – forse per evitare fraintendimenti – confessa di aver fatto vedere il film a Tom Cruise, uno dei più ferventi (e potenti) seguaci della setta.

La storia. Siamo nell’America dell’inizio degli anni ’50. Freddie Quell (un impressionante Joaquin Phoenix) è un reduce della Marina che porta fisicamente addosso i traumi della guerra: piegato su sé stesso, alcolizzato, disturbato, incapace di costruire relazioni, violento, solo. Per caso si imbatte in Lancaster Dodd (il solito, gigantesco Hoffman), “scrittore, dottore fisico nucleare, filosofo teoretico”, come lui stesso si presenta, il Maestro appunto, e nel suo movimento, “La Causa”. E’ un colpo di fulmine per entrambi, perché si completano e ognuno è quello di cui l’altro ha bisogno. Contro la sua pulsione alla fuga e alla bestialità, Quell sceglie di rimanere e di sottoporsi all’iniziazione, contro il parere della moglie e della famiglia, Dodd sceglie Quell come archetipo dell’adepto, se ce la fa con lui può farcela con tutti. La strada più difficile per tutti e due.

“Nella storia tra maestro e allievo non c’è il rapporto padre e figlio o padrone e servo. Piuttosto i due si muovono come dentro un romanzo d’amore, insieme quasi si identificano, sono fatti dello stesso materiale, due bestie selvagge che vogliono addomesticarsi” spiega Anderson in una conferenza stampa dove Phoenix fa il divo svogliato. E in effetti tutto il film è costruito sulla relazione tra Quell e Dodd, sui loro volti, le loro reazioni, sul rapporto quasi erotico che si crea con gesti e parole. Magnifiche interpretazioni, abbiamo detto, esaltate anche dal fatto che il film è stato girato in 70 mm e dal terzo grande attore del cast, la musica di Jonny Greenwood, che segue e sottolinea passo passo ogni scena, ogni cambiamento di umore, ogni immagine. Nonostante la solita magistrale messa in scena di Anderson, questo sesto lavoro non si colloca pienamente all’altezza dei precedenti, ma sarà difficile che non raccolga almeno un premio.