Giustizia civile


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'La riforma del ministro Severino consentirà di snellire e deflazionare il contenzioso civile. Ma i problemi strutturali della giustizia restano'

Intervista a Filippo Paone, presidente della III sezione della Corte d’Appello civile di Roma f

di Fabrizio de Jorio

Presidente, cosa ne pensa della norma che prevede il filtro all’appello introdotto dal decreto legge n. 83/2012 convertito in legge dal Parlamento? Ritiene che possa deflazionare il carico di lavoro degli uffici giudiziari come prevede il ministro della Giustizia, Paola Severino?
E’ una buona riforma nel suo complesso e sicuramente contribuirà a deflazionare il carico di lavoro delle corti d’appello. Tuttavia l’aspetto più delicato riguarda la decisione sull’ammissibilità dell’appello che viene fatta dal giudice, sentite le parti, con un’ordinanza. Naturalmente questo ruolo che il magistrato dovrà svolgere richiede molta professionalità, un’esperienza molto radicata perché giudicare che l’appello è inammissibile è come averlo respinto nel merito. Quindi ciò potrebbe creare qualche problema ma indubbiamente snellirà sia i tempi sia l’arretrato. Certo è un investimento, una scommessa. Se ci si impegnerà seriamente avrà buone possibilità di funzionare perché lo strumento è molto comodo, in quanto emettere un’ordinanza è molto più celere che scrivere una sentenza. Ma soprattutto ciò creerà le condizioni per introdurre una mentalità più incisiva, programmando le cause e la gestione della stessa.

Comunque la sua è una valutazione positiva anche perché lei è stato uno dei primi magistrati ad adottare un criterio di selezione per l’appello. Nella sua sezione è riuscito a diminuire sia l’arretrato, sia i tempi del procedimento, Ci può spiegare come ha proceduto?
Vede questa normativa ha il vantaggio di introdurre il principio che bisogna programmare e decidere cosa fare appena una causa viene iscritta a ruolo. Il filtro sicuramente scoraggerà coloro che pur di dilazionare il pagamento di un debito accertato dal giudice di primo grado, ricorrono in appello nel tentativo di allontanare il più possibile l’esecuzione della sentenza. In effetti sono concorde con l’orientamento secondo cui l’appello non è novum judicium bensì revisio prioris insatziae, con conseguente inammissibilità quando l’impugnazione non fosse basata su motivi contenenti critica puntuale e pertinente alla sentenza di primo grado. Comunque è il giudice di primo grado che deve lavorare bene e deve essere messo in condizione di lavorare altrettanto bene. Se la sentenza di primo grado è frutto di una conduzione sapiente e di una decisione equilibrata è tutto più semplice, tanto che confermiamo circa il 60/70% delle sentenze del tribunale. Noi abbiamo usato il metodo della "precamera", uno strumento prezioso nel semplificare strategie e decisioni da adottare, eliminare l'ansia della decisione, dare sicurezza ed entusiasmo ai magistrati. In udienza il collegio si presenta assai autorevole essendo evidente alle parti che tutti i suoi membri conoscono bene le cause, così dando modo ad ogni consigliere di dare suggerimenti e indicazioni preziose, disincentivando le parti da eccezioni defatigatorie, sicché tutto procede assai rapidamente ed efficacemente. D'altro canto posso dare testimonianza delle numerose volte in cui nella precamera é risultato evidente come l'appello fosse palesemente infondato, e talvolta, per questo, persino irritante, e di quanto sarebbe stato utile disporre di uno strumento per poterlo stroncare sul nascere.

Ha riscontrato problemi organizzativi?
Questo metodo ha richiesto il superamento di ostacoli organizzativi di non poco conto e che tutt'ora pesano: mancanza di spazi per dare modo ai consiglieri di studiare le cause senza portare a casa chili e chili di faldoni: il recupero di spazi è stato un lavoro lungo e paziente, aprendo trattative con l'economato per spostare in altri locali i fascicoli e recuperare un paio di stanze; addestramento e persuasione degli addetti di cancelleria sui vantaggi, anche per loro, nel preparare i cosiddetti fascicoletti (sentenza impugnata, appello, comparse) evitando così lo spostamento di decine e decine di faldoni ingombranti; coinvolgimento del personale di cancelleria nel progetto complessivo. Devo dire che sono stato molto fortunato: negli ultimi anni in Corte c’è stato un forte ricambio e sono arrivati molti colleghi più giovani, tutti provenienti dal tribunale, fortemente motivati e già abituati a condurre l’udienza dopo attenta preparazione. Devo all’entusiasmo e alla preparazione dei colleghi che hanno condiviso e coltivato il metodo se si sono raggiunti risultati lusinghieri. Anche il personale di cancelleria, esclusivamente al femminile, ha condiviso il progetto, fornendo una collaborazione preziosa; si è trattato di un paziente lavoro di coinvolgimento, facendo capire che un lavoro ordinato è anche meno faticoso.

Ma come si procederà materialmente a mettere in pratica questa nuova normativa?
Le cause iscritte a ruolo vengono distribuite ai magistrati delle sezioni e ogni causa ha il suo relatore. Appena la normativa andrà a regime, il magistrato al quale è affidata la causa convocherà le parti parlando con gli avvocati per valutare se la causa ha ragionevoli motivi per essere accolta in appello. In caso contrario emetterà un’ordinanza con una succinta motivazione. I problemi della giustizia tuttavia, oltre alle carenze strutturali, riguardano anche la parte edilizia. I magistrati della mia sezione sono fisicamente sommersi dai faldoni e dai documenti che vengono impilati sulle scrivanie. dei magistrati della mia sezione che sono costretti ad alternarsi alla stessa scrivania. L’ideale sarebbe che ogni magistrato possa avere la propria stanza e dei collaboratori ai quali demandare parte del lavoro per potersi concentrare sull’esame degli atti del processo e sulla sentenza. Anni fa abbiamo avuto la collaborazione di studenti delle scuole di specializzazione che venivano a fare degli stage da noi. Costituivano un valido sostegno alla nostra attività e per loro era un tirocinio di prim’ordine. Certo l'introduzione di uno strumento così delicato come quello di stabilire, con una semplice ordinanza, quando un appello non abbia ragionevole probabilità di essere accolto, richiede uno sforzo organizzativo non comune per il reperimento di spazi e strumenti informatici, addestramento e coinvolgimento dei collaboratori, un impegno di professionalità profondo, una capacità di confrontarsi e discutere in un collettivo di lavoro assai convinta, un esame robusto e colto dei principi generali, la volontà di elaborare linee di giurisprudenza condivise e convincenti, la voglia di cimentarsi in nuovo modello, agilità ed intuito nello studio delle controversie.

I processi, a pena di ulteriori sanzioni per il nostro Paese, non possono durare più di 6 anni, come stabilisce la nuova normativa varata dal Parlamento. Tre anni per il primo grado, due per l’appello e uno per la Cassazione. Secondo la sua esperienza sono tempi che si potranno rispettare?
I tempi stabiliti per legge possono andare bene ma solo se accompagnati da investimenti nella struttura per aumentare l’efficienza del sistema giustizia. Consideri che un terzo delle cause che arrivano qui in Corte d’Appello riguardano la legge Pinto sull’equo indennizzo molte delle quali vengono dalla Campania dove le cause durano mediamente molto di più di altri distretti giudiziari. Quindi ogni causa generava un’altra causa! Vede, le carenze organizzative della Giustizia, in particolare delle Corte di Roma sono enormi: nella nostra sezione mancano costantemente due o tre magistrati perché quelli che vanno in pensione o sono trasferiti vengono sostituiti con ritardi di mesi o anni. I consiglieri non solo non hanno una stanza ciascuno, ma nemmeno una scrivania che devono dividere con altri colleghi. La dotazione informatica è penosa e l’assistenza sull’hardware e sul software praticamente inesistente. Il processo telematico è lontanissimo dall’essere concretamente applicato e realizzato. Il personale di cancelleria è ridotto all’osso, senza rimpiazzi nel caso di pensionamento, con diminuzione costante dell’organico. Le insidie non mancano, ma di fronte ad una irragionevole durata ultraquinquennale delle impugnazioni, assai meglio quieta movere e concentrare gli sforzi per garantire, alla fine, una decisione giusta in tempi ragionevoli. Insomma una bella sfida a dare il meglio di sé e inventarsi una nuova professionalità, che solo una verifica sul campo può garantire.