Presidente, il ddl anticorruzione è stato approvato e ora passerà al vaglio del Senato, Se venisse confermato così com'è lo ritiene efficace per contrastare la corruzione nella P.A.?
Tutta la prima parte della legge si occupa degli strumenti amministrativi per prevenire quanto più possibile il grave fenomeno della corruzione: anche se, da penalisti, non ci compete entrare nel merito dei singoli meccanismi predisposti, è condivisibile l'impianto complessivo, perché la sola minaccia della sanzione penale non ha alcuna seria efficacia se non si interviene a monte, nel terreno di coltura dei fenomeni corruttivi. Le fattispecie penali, poi, vengono ampiamente rimodellate e ne vengono create di nuove: sicuramente pure questo intervento era necessario, in parte per adeguarci alle Convenzioni Internazionali (concussione, corruzione tra privati, traffico di influenze) in parte per definire sul piano legale condotte che una invasività creatrice della giurisprudenza sta già sanzionando da anni (mi riferisco alla c.d. “corruzione per la funzione” che adesso prenderebbe il posto, nell'art. 318, della vecchia “corruzione impropria”). Il testo approvato alla Camera presenta tuttavia diverse ombre e contraddizioni: ciò del resto è inevitabile, quando si interviene in modo parziale. Per questo noi dell'Unione Camere Penali abbiamo rilanciato con forza l'idea di un nuovo codice penale sostanziale, che preveda in modo comparativamente armonico la quantità dei precetti necessari e coordini i rispettivi livelli sanzionatori.
La norma sulla incandidabilità dei condannati non è troppo vaga, riferendosi genericamente a delitti non colposi? Potrebbe essere incandidabile anche chi è stato condannato per diffamazione a mezzo stampa...
Questa estrema ed inaccettabile genericità è prevista, dalla lett. m) del comma 2 dell'art. 17, per i casi di sospensione e decadenza, mentre per i casi di incandidabilità lo stesso comma 2, alle lettere precedenti, prevede criteri un po' più circoscritti, ancorati in parte alle tipologie di reato e in parte alla misura della pena inflitta con la condanna definitiva, che deve essere in concreto superiore a due anni. Ma, a parte l'assurda disparità di previsione tra criteri di incandidabilità e di decadenza, il punto è che in una materia così delicata, a cui presidio stanno gli artt. 65 e 66 della Costituzione, i criteri di incandidabilità e decadenza dovrebbero essere stabiliti in modo assolutamente tassativo dal legislatore e non delegati al Governo, con parametri che, comunque, gli lasciano un eccessivo spazio.
Il governo dovrà, con apposite deleghe, stabilire quali siano i reati che impediscono le candidature. Cosa ne pensa?
In questa materia giudichiamo assolutamente sbagliato lo strumento della delega.
Dal punto di vista della costituzionalità, ritiene che la legge sia legittima?
Diversi studiosi hanno segnalato il possibile contrasto con l'art. 66 della Costituzione della legge su questo punto, e anche io credo che il problema ci possa essere.
Il testo approvato prevede la ridefinizione del reato di concussione, in ossequio alle raccomandazioni dell'Europa e l'istituzione di un nuovo reato: il traffico di influenze illecite. Cosa ne pensa?
Nessun problema circa la concussione per costrizione, che è una forma speciale di estorsione e che quindi, ovviamente, non può prevedere nessuna punizione per il concusso, che è vittima del reato. Fuori da questi casi, l'Europa ci chiedeva di punire il privato che aderisce alle richieste di pagamento, quando abbia comunque uno spazio di libertà per sottrarsi ad esso. Si sarebbe potuto optare per ricomprendere tout court la concussione per induzione nella corruzione, punendo allo stesso modo chi paga e chi percepisce. Il nuovo art. 319-quater, che prevede pene più gravi per il “concussore per induzione” e sensibilmente più lievi per il “privato indotto”, è una sorta di compromesso tra indicazioni internazionali e tradizione italiana. Alla sua introduzione, peraltro, non sono state estranee considerazioni ad personam o contra personam (caso Ruby, vicenda Penati) come ormai avviene da anni quando si mette mano alle norme penali. Vedremo la norma alla prova dei fatti.
Il traffico d’influenze illecite?
Quanto al traffico di influenze illecite, previsto dal nuovo art. 346bis, mi sembra che, anche a seguito delle modifiche apportate dall'Aula al testo presentato dal Governo, la norma presenti un accettabile grado di determinatezza e tassatività. Semmai resta un grave problema di coordinamento con il vecchio art. 346 (millantato credito): avremo infatti che chi semplicemente “millanta”, non avendo alcuna reale relazione con il pubblico ufficiale, sarà punito ben più gravemente di chi eserciti realmente l'influenza illecita. Con il che un reato di pericolo (sostanzialmente una truffa) risulterà sanzionato più gravemente di un reato di danno.
Ci sono anche numerose modifiche al codice penale previste dall'art. 13. Passa da 3 a 4 anni la pena per il peculato (art. 314 cp), viene ridefinito il reato di concussione (art. 317) che diventa riferibile solo al pubblico ufficiale e non più anche all'incaricato di pubblico servizio e dal quale spunta la fattispecie dell'induzione. Insomma cambiano le norme e le pene edittali. Cosa ne pensa, costituirà un deterrente anticorruzione?
La forsennata corsa all'aumento di tutte le pene edittali, peraltro ulteriormente accentuata dall'Aula, è figlia della deriva propagandistica ed irrazionale che ormai de decenni inquina l'attività parlamentare in tema di giustizia penale. Con l'aumento del minimo edittale per il peculato, ad esempio, potrà accadere che la sottrazione di una penna biro, pur in presenza dell'attenuante di cui all'art. 323Bis, possa esitare in condanna superiore a due anni, e quindi non sospendibile! Il deterrente anticorruzione non è rappresentato da misure terroristiche delle pene, ma da indagini ben fatte, da un rapido e giusto processo, da una pena certa, proporzionata ed effettiva. Bisogna fare attenzione a non cedere alle derive irrazionali, o peggio alle suggestioni della piazza, quando si fanno leggi su questi temi, si rischia di inseguire il consenso popolare senza calcolare gli effetti di lungo periodo. Un po’ quello che successe venti anni fa con l’immunità.
Corruzione tra privati: l'art. 14 prevede una pena da uno a tre anni per gli amministratori o dirigenti di società private che cagionano nocumento alla società della quale fanno parte. Cosa ne pensa? In pratica una riedizione penale dell'art. 2635 del codice civile.
L'esigenza di una tale incriminazione, tra l'altro espressamente prevista agli artt. 7 e 8 della Convenzione di Strasburgo, ci sembra condivisibile: perché a volte forme gravi di infedeltà negli Enti privati danneggiano gravemente i dipendenti, gli azionisti, le imprese concorrenti, etc.
Cambia anche l'art. 317-bis che prevede l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e anche la norma che oggi consente ai magistrati di rimanere fuori ruolo a vita. Se approvata anche dal Senato, i magistrati non potranno rimanere fuori ruolo per più di cinque anni consecutivi e comunque per un massimo di 10 anni nel corso della carriera. Soddisfatto?
Quella contro il profluvio di magistrati fuori ruolo nei ranghi della Pubblica Amministrazione è da sempre una delle battaglie più convinte dell'Unione Camere Penali: non solo perché così si sguarniscono ulteriormente gli organici effettivi, già così carenti, di chi deve amministrare giustizia, ma anche e soprattutto perché si crea e si consolida una indebita interferenza e, per stare al tema, un vero e proprio “traffico di influenze”, del giudiziario sul legislativo e sull'esecutivo, che altera nel profondo il corretto funzionamento del sistema democratico. Quindi la norma sulla limitazione temporale dei distacchi, benché palesemente insufficiente, va nella direzione giusta. Il problema è, semmai, l’atteggiamento del governo sul tema: l’emendamento che era stato presentato finiva per vanificare l’intento.
L'art.12 del disegno di legge prevede anche la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti. Una norma che prende spunto dal mondo anglosassone dove con il Whisterblowing chi denuncia può ottenere l'anonimato.
La garanzia di anonimato riguarda il solo procedimento disciplinare, perché quando la segnalazione del dipendente dà luogo ad un processo penale, egli deve ovviamente sottoporsi al contraddittorio pieno nei confronti dell'imputato. Ma anche se limitata alla sede disciplinare, e sottoposta ad alcune eccezioni (come nel caso in cui il disvelamento dell'identità sia “assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato”), questa norma è inaccettabile, perché urta contro il principio della parità tra accusa e difesa, che è un principio generale di civiltà giuridica; e, con buona pace degli anglosassoni, ha un che di medievale, con questo incitamento alla delazione anonima. Avremmo preferito di gran lunga il testo approvato in prima lettura al Senato, dove si prevedeva la segretezza della fonte solo sino alla contestazione dell'addebito disciplinare. Troviamo invece del tutto condivisibile la ferrea tutela, prevista dai commi 1 e 3, contro ogni misura discriminatoria o di “rappresaglia” a danno del denunciante. (FdJ)