Il pachiderma Giustizia in Italia oltre alle eccessive lentezze dei processi civili e penali, comporta da decenni condanne da parte dell’Europa. Lei è consigliere alla VI sezione penale della Suprema Corte di Cassazione. E’ davvero così malata in Italia la giustizia penale?
Si, la giustizia penale è malata in Italia perchè non è nelle condizioni strutturali per funzionare. Noi abbiamo un sistema dove si vuole tutto e il contrario di tutto sia in termini quantitativi, sia qualitativi. I giudici di Cassazione si devono occupare anche delle sentenze di condanna a 200 o 300 euro di multa. Consideri che ogni anno emettiamo circa 80mila sentenze, di cui 30 mila civili e 50 mila penali. E’ una follia che non c’è in nessuna altra parte al mondo. La Corte suprema americana che per la verità svolge anche funzioni di Corte Costituzionale, oltre che di Cassazione, fa sui 400 provvedimenti all’anno.
Un’anomalia tutta italiana?
Si, perché vede non esiste alcun filtro all’ingresso dei ricorsi, tanto che ogni anno dichiariamo inammissibili circa 30mila ricorsi in arrivo. Un carico di lavoro supplementare che riusciamo a smaltire solo dopo alcuni mesi pur facendo udienze anche con oltre 200 provvedimenti ogni udienza. L’esempio tipico è il patteggiamento: l’imputato che in primo grado ha patteggiato la sentenza con lo sconto della pena, presupporrebbe che quella sentenza vada in giudicato. La quantità di questi ricorsi è tale che dal momento in cui viene deliberata la sentenza di patteggiamento al momento in cui la Cassazione è in grado di fare l’ordinanza di inammissibilità, passano dagli 8 ai 10 mesi. Ciò comporta che per il solo fatto di aver presentato un ricorso palesemente inammissibile, come d’altronde lo sono il 99% dei ricorsi che vengono da un patteggiamento, il ricorrente ha posticipato di alcuni anni il passaggio in giudicato.
Anche nel caso quindi che la Cassazione si pronunci sull’inammissibilità di un ricorso vi è un carico di lavoro comunque gravoso?
Certo perché il fascicolo che giunge in Cassazione dall’ufficio dove è stato fatto il patteggiamento, viene prima registrato, vengono fatte le notifiche all’interessato, si fissa l’udienza alla fine della quale si emette il provvedimento. Un gran lavoro che grava sul quotidiano.
Un escamotage legale che viene usato dagli avvocati per giungere alla prescrizione?
In questo specifico caso, cioè quando un ricorso è dichiarato inammissibile, una consolidata giurisprudenza della Cassazione prevede che il tempo successivo alla sentenza impugnata non viene considerato ai fini della prescrizione che se maturata dopo la delibera della sentenza impugnata, se il ricorso è dichiarato inammissibile, questa inammissibilità retroagisce al momento della delibera della sentenza. Il ricorso spesso viene fatto al fine di posticipare il passaggio in giudicato.
E le 170mila prescrizioni che ogni anno si registrano?
Il vero problema che riguarda il rapporto tra il primo grado e l’appello. Il vero nodo sono le Corti d’Appello che non sono in grado di gestire e di smaltire i loro procedimenti. Il punto dove maggiormente si verificano le prescrizioni è la Corte d’Appello. Un problema che si origina dopo la riforma che ha portato al giudice monocratico i cui reati di competenza del tribunale collegiale furono ridotti ma non si intervenne sull’ampliamento dell’organico delle Corti d’appello. Quindi si è verificata una maggior produzione di sentenze in primo grado che avrebbero inevitabilmente gravato sulle Corti d’appello che già avevano problemi di funzionamento.
Quali soluzioni proporrebbe al legislatore?
Si potrebbe prevedere il giudice monocratico anche in Appello per una serie di reati di minore importanza, oppure si potrebbe prevedere una razionalizzazione del processo d’appello. Ma qui non è stato fatto assolutamente nulla, anzi. La domanda che viene spontanea è: ma questo legislatore è un incapace incredibile o è un legislatore al quale in realtà che la giustizia funzioni efficacemente, in tempi ragionevoli, non interessa?
In questo caso sarebbe d’accordo ad inserire il principio dell’inappellabilità alla sentenza nel caso di un giudizio di assoluzione di primo grado come aveva previsto l’ex ministro della Giustizia Alfano nel suo Ddl?
Il numero dei ricorsi in corte d’Appello statisticamente non è originato dai Pubblici ministeri. Il vero motivo per cui la Giustizia penale non funziona, o meglio, è messa nelle condizioni di non funzionare, è la prescrizione. E’ assolutamente unico in tutta Europa: la prescrizione continua a decorrere nonostante le sentenze di primo e secondo grado fa sì che ci sia l’incentivo a proporre impugnazione anche quando non ce ne sarebbe ragione.
Gli avvocati quindi hanno una sorta di responsabilità, seppur indiretta nel congestionamento della giustizia?
L’avvocato che presenta un appello o un ricorso in Cassazione al solo scopo di ottenere la prescrizione fa esattamente il suo dovere deontologico. Il problema è che non ha senso che esista una normativa che consente questo genere di cose a tutto svantaggio della Giustizia e delle vittime dei reati.
Nel testo della riforma della Giustizia sul quale i partiti e il governo si stanno confrontando, c’è anche la modifica dell’istituto dell’obbligatorietà dell’azione penale. Ritiene che questo possa snellire il carico di lavoro nel penale?
Quando la Costituzione ha previsto l’obbligatorietà dell’azione penale ha messo un paletto importante per una giustizia uguale per tutti. Ritengo che per far funzionare la Giustizia si debba intervenire sulla razionalizzazione dei processi, sulle risorse, come tipologie dei reati. Da qualche tempo nutro il dubbio che non ci sia l’interesse da parte del legislatore di far funzionare la giustizia. Proposte come quella di introdurre la discrezionalità dell’azione penale affidando alla politica sostanzialmente la scelta di quali sono i reati, mi fa sorgere sul piano logico la domanda che è maliziosa oggettivamente ma non lo è soggettivamente: ma non è che la politica non fa nulla per far funzionare le cose perché così è possibile trovare forme diverse di immunità?
Parliamo di prescrizione: l’Europa ci chiede di intervenire per modificare l’istituto
L’Europa ci esorta ad arrivare alla fine del processo e dice che non è possibile avere una prescrizione così breve per i reati di corruzione. Ci chiede una prescrizione seria che consenta di fare i processi. Non dimentichiamo che in Italia la prescrizione decorre non da quando il reato è accertato ma da quando è stato consumato. Ho la sensazione che il nostro legislatore si “diverta” a cambiare le regole a processo in corso come nel caso della corruzione. Vede, se durante lo svolgimento delle indagini o a processo iniziato che nei suoi vari gradi è programmato sul termine di prescrizione per quel tipo di reato, il legislatore interviene e dimezza i tempi della prescrizione, è chiaro che si influisce in modo radicale sulle modalità di gestione dei processi. Assistiamo al paradosso che il legislatore che agisce in questo mondo, se la prende con le disfunzioni della Giustizia.
Da dove partire per abbattere i tempi della Giustizia penale?
Sono pendenti alcune proposte di legge che aiuterebbero il sistema Giustizia a migliorare. Ne cito una: il processo in contumacia. In Cassazione, ma anche nei tribunali, sono migliaia i processi, soprattutto a cittadini stranieri che si celebrano sostanzialmente nei confronti di veri e propri fantasmi. Processi che portano a condanne definitive che non verranno mai eseguite. Anzi, accade spesso che quando la persona condannata in contumacia viene fermata per caso ad un controllo, occorre rifare il processo in quanto irreperibile, non avendo avuto effettiva conoscenza del processo, ha diritto all’eliminazione del giudicato, della condanna e alla riapertura del processo. Le sentenze in contumacia emesse nei confronti di cittadini stranieri in Europa non possono essere eseguite proprio per questo motivo. Tutto ciò ha con costi enormi non solo intermini economici ma anche di personale impiegato nei tre gradi di giudizio con conseguente allungamento dei tempi per la trattazione di altri procedimenti. Sarebbe auspicabile la sospensione dell’esercizio dell’azione penale nei confronti degli imputati irreperibili e in questo caso non decorre la prescrizione e il processo riprenderebbe quando fisicamente la persona viene rintracciata. Ci si lamenta delle giustizia penale che non funziona ma il legislatore si inventa sempre nuovi reati con pene basse e con prescrizioni brevi. Per liberare il carico di lavoro inutile, la struttura anziché lavorare su processi che non portano a nulla e che anzi devono essere addirittura rifatti, si può concentrare per smaltire il resto del lavoro.
In quest’ottica, vista l’emergenza non solo degli uffici giudiziari, ma anche quella delle carceri con oltre 67mila detenuti, 28 mila dei quali in attesa di giudizio, con una capienza di circa 40 mila posti, cosa ne pensa dell’amnistia che i radicali, citando le parole del presidente della Repubblica, Napolitano, invocano come una “prepotente urgenza”?
Recentemente con dei colleghi del Veneto, ho effettuato una visita conoscitiva in un carcere ho visto una cella di pochi metri quadrati con letti a castello e detenuti che dormivano su materassi messi per terra. Lo Stato dovrebbe essere il garante dei diritti dei cittadini e anche dei detenuti ma in realtà sta ponendo in essere delle condotte che violano sistematicamente diritti elementari. Non solo, ma rispetto ad una pena che dovrebbe avere funzioni di risocializzazione, ciò crea condizioni di vita che contribuiscono ad esasperare le persone, anziché aiutarle a reinserirsi. Il problema dell’Italia è che ha una legislazione all’avanguardia, mi riferisco anche all’ordinamento penitenziario, ma non sono mai seguite le risorse economiche per concretizzare questa legislazione. Un discorso di amnistia selezionata potrebbe essere una risposta emergenziale. Tuttavia qualsiasi amnistia dovrebbe essere accompagnata, se non addirittura preceduta, da una serie di interventi sul rito, sulla razionalizzazione delle risorse umane e di mezzi.
Separazione delle carriere e obbligatorietà dell’azione penale: temi bollenti di forte contrapposizione tra magistrati e politica.
E’ vero, ma in realtà la separazione di fatto c’è già. Il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa è molto difficile viste le incompatibilità. Ma la domanda cruciale è: dove si colloca a livello costituzionale il pubblico ministero? Se il pm esce dalla magistratura ordinaria con le garanzie di indipendenza previste dalla Costituzione, o deve essere eletto o nominato dal governo e quindi alle sue dipendenze. Ma in questo caso risponde di ciò che fa al ministro e ha un rapporto gerarchico con di dipendenza con l’esecutivo. U pm che fa parte della magistratura giudicante, di un unico ordine ma con funzioni rigorosamente separate. ha una sua valenza costituzionale e risponde all’interesse del cittadino perseguendo tutti i reati in modo paritario. Ma se un pubblico ministero diventasse parte di un ordine autonomo, separato dalla magistratura giudicante, rischierebbe di diventare un potere incontrollabile e di una invasività incredibile. Se i pm diventassero un ordine autonomo e quindi troppo autoreferenziale, io come cittadino avrei perplessità.
Parliamo della legge Pinto, che prevede risarcimenti economici per il cittadini che ha subito l’eccessiva durata di un processo. L’Italia recentemente è stata condannata dalla Corte europea per inadempienza. E’ una legge efficace?
L’Italia è stata obbligata dall’Europa ad introdurre una legge che filtrasse il numero di ricorsi che arrivavano dal nostro paese direttamente alla Corte europea, stavano portando alla paralisi gli uffici di Strasburgo. Questo significa che quando il carico di ricorsi diventa ingestibile, qualunque organo giudiziario salta. In base alle indicazioni dell’Europa, il legislatore ha stabilito che la Corti d’Appello civili entro 4 mesi devono istruire il procedimento. Quindi le Corti d’Appello hanno dovuto sopportare anche questo ulteriore carico di lavoro. La ragionevole durata del processo è stata fissata su paramenti della Corte europea di Giustizia in base al complesso dei sistemi europei nessuno dei quali ha le follie procedurali che abbiamo noi! In Italia tutti possono impugnare tutto in un sistema, dove, per il penale, la prescrizione favorisce ed anzi incita alle impugnazioni, anche quelle palesemente inutili. Quindi è chiaro che da noi fintanto che non cambia la disciplina dei riti per adeguarci a quelli europei, la ragionevole durata del processo spesso non può essere osservata.
Quindi il legislatore ha una responsabilità maggiore dei magistrati rispetto alle inefficienze del sistema Giustizia?
Il legislatore si sfila dalle proprie responsabilità in merito alla non ragionevole durata del processo addebitandole al magistrato che invece, spesso pur lavorando in condizioni di estrema difficoltà è considerato uno dei più produttivi d’Europa dalla stessa Commissione europea per l’efficienza della giustizia. E’ il legislatore ad avere la responsabilità di dare norme ragionevoli, strutture adeguate risorse, mezzi e uomini, tali da riuscire a smaltire l’enorme carico di lavoro. Eppure, nulla fa di questo ed addita all’opinione pubblica la magistratura come unica responsabile delle disfunzioni e del fatto che i processi vadano in prescrizione e che durino troppo, sfilandosi dalle proprie responsabilità ed anzi intervenendo in modo rancoroso contro i magistrati che invece, come ho detto, sono al secondo posto in Europa, per la capacità di smaltimento del carico di lavoro. Quindi il legislatore, non solo non interviene per alleggerire il carico di lavoro, ma lo rende sempre più gravoso. E’ anche prevista una modifica della legge Pinto che prevede in automatico la responsabilità del magistrato per l’eccessiva durata del processo. Ma questo sarebbe un provvedimento vessatorio oltre che inutile. Perché non è un solo magistrato a trattare un singolo procedimento ma una pluralità di giudici. Certo ci sono anche singoli casi di inefficienza, di caduta di professionalità o di comportamenti non giustificati che devono essere sanzionati ma quando il legislatore lo prevede a livello generale, automatico, astratto, questo è intollerabile, oltre che stupido perché non risponde all’esigenza di risolvere il problema.
L’organico della magistratura è di circa 9000 persone, che oggi sono insufficienti per rispondere adeguatamente all’aumento del contenzioso, sia civile, sia penale. Ma non le sembra un paradosso che il Csm abbia autorizzato nel solo 2011 oltre mille magistrati per incarichi extragiudiziari e circa 325 sono quelli che hanno da tempo superato il concorso ma non vengono assunti dal ministero della Giustizia?
Il vero paradosso è proprio quello dei 325 magistrati che pur avendo vinto un concorso stanno aspettando di prendere servizio. Noi come Associazione magistrati dovremmo diventare un po’ meno politically correct. Proporrò uno sciopero della fame o anche di incatenarci a turno, perché nel frattempo non possiamo non lavorare, di fronte al ministero finché non assumono i magistrati. Sugli incarichi extra, vede in molti casi sono magari autorizzazioni per fare 6 ore di lezione alla scuola delle professioni legali o altre università, ma non è quello che distoglie il magistrato dal suo lavoro. Altro caso è quello del magistrato che esce dall’organico e svolge attività retribuite e non compatibili con la magistratura ma che numericamente è una percentuale minima. Io sono dell’avviso che 5 anni complessivi nella carriera di un magistrato fuori organico sono più che sufficienti.
Responsabilità civile del magistrato. Lei è d’accordo con quanto previsto nel testo del provvedimento al vaglio del ministro della Giustizia Severino e dei partiti che sostengono il governo Monti?
Esiste già la responsabilità del magistrato. L’attuale disciplina attuale prevede che il giudice risponda in caso di dolo o colpa grave e di conseguenza il cittadino danneggiato deve fare causa allo Stato e se lo Stato perde perché viene riconosciuta questo danno collegata al dolo o alla colpa grave. La possibilità per il singolo di fare causa al giudice va capita pensando che il giudice nel civile ragione ad uno e torto all’altro e nel penale in ogni causa c’è una condanna o una assoluzione che prevede anche il coinvolgimento della parre civile. Il lavoro del giudice strutturalmente per ogni causa qualcuno che è potenzialmente insoddisfatto e che può legittimamente ritenere di avere avuto una sentenza ingiusta. Questo significa che per ogni sentenza, come prevede l’emendamento Pini, c’è un giudice che rischia di essere citato in giudizio e che deve difendersi. Esempio concreto: se il difensore di un imputato chiede l’ammissione di 10 testimoni e il giudice ne ammette, argomentandolo, solo 5, quello stesso difensore può citare in giudizio il giudice dicendo che ha sbagliato perché l’aver escluso dei testimoni ha pregiudicato la sua difesa. Facendo ciò il giudice diventa incompatibile nel processo e verrebbe sostituito da un altro giudice, il quale a sua volta può essere citato in giudizio e così via…. Le sembra razionale? Va incontro ad esigenze di giustizia e soprattutto migliora la condizione nella quale versa la Giustizia in Italia?
Ma non è proprio l’Europa, con tante sentenze di condanna a chiedere all’Italia di provvedere con una legislazione organica sulla Giustizia che comprenda anche la modifica della legge 117/88 sulla responsabilità del giudice?
Nessuno degli altri Stati europei prevede questo, anzi c’è una risoluzione europea del Consiglio dei ministri, presa durante una riunione alla quale era presente anche il nostro ministro della Giustizia, che esclude la possibilità per il singolo cittadino di citare direttamente il giudice. Perché altrimenti ciò creerebbe la paralisi della Giustizia!
Durante il dibattito parlamentare si è parlato della responsabilità del giudice anche per le riparazioni dovute all’ingiusta detenzione. Cosa ne pensa?
Non si parla di danno ma indennizzo per l’ingiusta detenzione. In questo dibattito si è cercato di affermare il principio che se una persona arrestata è stata successivamente assolta può fare causa al giudice. Il nostro ordinamento come tutti gli ordinamenti processuali penali, prevede ed anzi in alcuni casi impone per una serie di reati la custodia cautelare. Ma questa evidentemente è una fase diversa e più contenuta rispetto alla prova necessaria alla fine del processo per affermare la colpevolezza dell’imputato. La legislazione da un lato legittima e in alcuni casi impone l’arresto sulla base di elementi che per definizione tecnica non sono le prove sufficienti per condannare ma sono un qualcosa che deve avere uno spessore ma è compatibile con una soluzione processuale diversa dalla condanna. Significa ignorare completamente la disciplina e il problema della custodia cautelare.
(FdJ)