Musica - i consigli della settimana


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Le donne come Atlante, hanno il mondo sulle spalle

Nuovi album per Esperanza Spalding e Macy Gray

di Maurizio Iorio

Esperanza Spalding
Radio Music Society (Universal)

“A volte ritornano”, diceva Stephen King. Per usare un linguaggio meno horror, potremmo parlare di “corsi e ricorsi storici”. Quando il presente è assente e il futuro incerto, si cerca conforto nel passato. Potrebbe essere questo il motivo che ha spinto la ventiseienne Esperanza Spalding, da Portland, Oregon, ad intraprendere il suo cammino artistico nei corridoi di una musica che è sempre avara di soddisfazioni mediatiche ed economiche, il jazz. L’anno scorso la giovane cantautrice e bassista ha vinto il Grammy come miglior “new artist”, lasciando a mani vuote Justin Bieber, signorino del pop stendi-ormoni femminili, già predesignato dai media. A quel punto, ovviamente, tutti si sono accorti di questa bella ragazza dal capoccione afro, che aveva già alle spalle tre album, e che ha appena pubblicato il quarto, “Radio Music Society”, definito da lei stessa “l’estensione del precedente ‘Chamber music society’ ”. Nell’albero genealogico della Spalding ci sono antenati ispanici, gallesi, afro-americani e pellerossa. Una mescolanza meticcia che ha selezionato il giusto dna per affinare le sue inclinazioni artistiche. L’approccio vagamente pop rende il suo jazz sicuramente più leggero, facilitandone l’ascolto a quanti hanno difficoltà a digerire le improvvisazioni, il free, le svisate interminabili, la mancanza di melodie riconoscibili e memorizzabili. Esperanza Spalding gioca con il funky (“Radio song”), rispolvera la Joni Mirchell di “Mingus” (“Cinnamon Tree”), gigioneggia con il suono delle big band (“Hold on me”), intona un inno all’orgoglio nero (“Black gold”), spende una canzone per Cornelius Dupree Jr., un innocente finito in galera per trent’anni. (“Land of the free”). I soliti detrattori l’hanno bollata come una cantante per un pubblico adulto radical-chic. Embè? Il proprio snobismo va rivendicato con orgoglio.


Macy Gray
Covered (429records)

Macy Gray, nera californiana 44enne, profonda voce soul-blues, 15 milioni di album venduti dal folgorante esordio del 1999 (“On how life is”), decisamente tirchia nella produzione musicale, solo sei lavori all’attivo, torna sul mercato con un album di cover, intitolato, senza troppa fantasia, “Covered”. In genere questi cd servono per onorare gli impegni contrattuali con le etichette discografiche, soprattutto quando mancano nuove idee. Quali che siano le motivazioni che hanno spinto Macy Gray a rileggere brani altrui, bisogna ammettere che la ragazza c’ha messo del suo, senza reinterpretare pedissequamente il già noto. La Grey ha confessato di avere in mente il progetto già da tempo, e di aver avuto il “la” da un video di Nina Simone scovato su Youtube, nel quale la grande cantante nera reinterpreta con straordinaria intensità “My Way” di Frank Sinatra. Così l’idea primigenia si è concretizzata in “Covered”, dove coesistono brani di artisti assai lontani fra di loro, seppur tutti appartenenti al variegato universo del rock. Quindi ecco una struggente “Here comes the rain again” degli Eurythmics accanto ad una travolgente “Nothing else matter” dei Metallica, ad una cerebrale “Creep” dei Radiohead, alla “Buck” di Nina Simone nella quale la Grey ha infilato i versi di “Love lockdown” del rapper Kanye West. Ancora, “Bubble” della giovane folk- singer Colbie Caillat, reinterpretata insieme all’attore britannico Idris Elba (quello di Luther), e “Wake up” dei giovani canadesi Arcade Fire. In conclusione, è vero che tutto è già sentito, ma le riletture di Macy Gray sono assai originali, e l’album è un mix sonoro decisamente piacevole.