Trent'anni nella vita della capitale argentina


Stampa

Buenos dias, Buenos Aires

La città che non ti aspetti: uguale a se stessa, ma profondamente cambiata nelle dinamiche sociali c

di Rodolfo Fellini
(r.fellini@rai.it)

Ritornare sui propri passi è una sfida alla memoria e, talvolta, alle proprie convinzioni. E se l’esperienza mette a confronto un adulto con le sue lontane emozioni di adolescente, i cambiamenti rischiano di diventare stravolgimenti. Può capitare così che la megalopoli caotica, aggressiva e chiusa in se stessa che ricordavi, ti appaia inaspettatamente accogliente, rispettosa, aperta. Sono tornato a Buenos Aires, la città che mi ha visto nascere e crescere, trent’anni dopo quel dicembre 1981 in cui l’avevo lasciata definitivamente. Alle mie spalle, una città in mano alla dittatura militare, in cui l’indifferenza per le violazioni dei diritti umani e il sospetto per l’interlocutore che non si conosceva erano norme non scritte cui tutti si attenevano. Per tre decenni, il ricordo ha congelato l’emblema di una società sofferente, schiacciata tra la mancanza di libertà e un’iperinflazione che condizionava la vita di ogni giorno. Ho ritrovato una metropoli trasformata da 28 anni di democrazia, in cui non esistono il “voi” o il “lei”, ma soltanto il “tu” e dove i pur pressanti problemi di ogni giorno non hanno tolto il sorriso ai cittadini.

Cittadini sulle montagne russe
I porteños, come si chiamano gli abitanti della megalopoli, sembrano abituati alle montagne russe che alternano periodi di crisi profondissima, come quella del default del 2001, a momenti di vivace crescita economica. Tutta la società ne ha risentito, con problemi di sicurezza che si palesano nella presenza rafforzata della polizia sulle strade, nell’ingabbiamento dei balconi e nella rinuncia all’uso del citofono: oggi, anche se vivi al ventesimo piano, devi scendere personalmente ad aprire il portone a chi ti viene a trovare. Nel 1981, Buenos Aires contava 12 milioni di abitanti, diventati oggi 13: un incremento di appena il 9%, mentre nello stesso periodo la popolazione dell’intera Argentina cresceva del 45%. Il centro non è cambiato molto: soltanto qualche nuovo grattacielo, a soffocare i sempre più rari capolavori dell’architettura déco, testimoni dei fasti che la capitale visse nei primi anni del Novecento. Gli ultimi governi nazionali e amministrazioni comunali hanno posto vincoli sempre più rigidi, per tutelare le bellezze di una città che per anni, non senza motivo, si è autodefinita la Parigi del Cono Sud e ha guardato esclusivamente al proprio ombelico. Un tempo si diceva che “il mondo finisce sulla General Paz”, la tangenziale che separa le aree centrali dalla periferia e dal resto dell’universo. Per decenni, la borghesia porteña ha ostentatamente ignorato tutto ciò che la circondava. Il Rio de la Plata, l’immenso fiume che bagna la città, sembra tuttora un ospite ingombrante: 60 km di acque limacciose tra Buenos Aires e Colonia del Sacramento, sulla sponda uruguaiana, cui la città ha sfrontatamente girato le spalle, quasi a voler innalzare un ulteriore muro laddove la “General Paz” non arrivava. Ma l’impressione, trent’anni dopo, è che i cambiamenti maggiori siano di natura mentale. E’ come se la città, sentendosi tradita dall’Occidente durante la guerra del 1982 contro il Regno Unito, si fosse resa consapevole del proprio ruolo e si fosse aperta al suo retroterra, scoprendo un mondo di nuove opportunità. Un ruolo di primo piano lo hanno avuto i giovani, che sono la parte più attiva della società e che hanno dato un impulso determinante al nuovo popolo argentino. Oggi i porteños più abbienti non viaggiano più soltanto in Europa, ma anche a Salta, Bariloche e Iguazu, e vanno persino in Perù, Bolivia e Paraguay, quasi a voler rafforzare un’identità latino-americana a lungo rinnegata.

Andare oltre il turismo
La Buenos Aires turistica si compone di due tappe fondamentali: San Telmo, l’unica zona del centro che ancora conserva qualche traccia dell’epoca coloniale, e la Boca, il quartiere delle misere casupole che ospitarono gli immigrati liguri a cavallo tra Ottocento e Novecento. La città continua però a dare il meglio di sé nelle sue vivacissime serate, con centinaia di locali, cinema, teatri e librerie aperte fino a notte fonda. Ma, nella sua essenza, appare sempre un po’ restia ai cambiamenti: Buenos Aires è pur sempre la patria di quel tango che è malinconia pura, una città forgiata da ondate di migranti, carica di un’impalpabile nostalgia per la terra che non c’è più e per quella che sognavi e non che c’è mai stata. Forse allora il senso più profondo della metropoli non va cercato nel classico circuito turistico, ma alzando lo sguardo oltre gli alberi e cercando, soprattutto lungo Avenida de Mayo, Diagonal Norte e Diagonal Sur, le testimonianze di quell’età dell’oro compresa tra le due guerre mondiali, quando i capitali stranieri fluivano copiosi e l’Argentina riuscì anche ad essere la quinta potenza economica del pianeta. Forse è ancora quella l’aspirazione inconfessata degli abitanti di una città che continua a pulsare frenetica, alla ricerca di un futuro migliore, ma ora con l’appoggio di un Paese e di un continente che non le sono più ostili.