Economia


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Una crisi epocale partita in sordina

Cronologia di quattro mesi di paura v

di Francesco Chyurlia

Le prime avvisaglie si palesano nell’estate del 2007. Ma il campanello d’allarme della crisi finanziaria suona solo a settembre 2008. Eppure il crollo del mercato immobiliare statunitense e dei relativi prodotti finanziari mostrava tutta la sua drammaticità per le ramificate conseguenze sul settore creditizio. La speranza degli operatori e degli investitori americani era quella di un fenomeno circoscritto al comparto immobili. Ma la conseguenza fu simile a quella del gioco del domino. Tessera dopo tessera, sono crollati i pilastri dell’economia Usa: discesa dei prezzi delle case, aumento delle insolvenze, crollo dei bond garantiti da mutui, calo della domanda, ripiegamento della borse e rallentamento ciclico sulle due sponde dell'Atlantico. Forse una breve recessione? Crisi apparentemente circoscritta da tempestivi salvataggi bancari a carico delle finanze pubbliche? Come nel caso della britannica Northern Rock, la tedesca Ikb e la statunitense Bearn Stearns, quest’ultima acquisita dalla Jp Morgan Chase con garanzie fornite dalle Federal Riserve di Ben Bernanke. Poi, la presa di coscienza: a settembre, la crisi assume dimensioni mondiali e sistemiche. Il giorno 7 l’amministrazione Usa ri-nazionalizza Freddie Mae e Freddie Mac, le due ex agenzie governative cariche di circa 5.200 miliardi di bond garantiti da mutui in parte inesigibili. Non è che l’inizio. Perché la situazione “peggiora con il fallimento della Lehman Brothers”, ricorda spesso Jean Claude Trichet, presidente della Bce. Il crack Lehman, da diverse centinaia di miliardi di dollari, arriva il 15 di settembre, l'amministrazione Usa, sotto la guida del presidente George Bush e del segretario al Tesoro Henry Paulson, si rifiuta di soccorrerla. Dopo il salvataggio di Bear Stearns e la nazionalizzazione di Freddie Mae e Freddie Mac, l’amministrazione non vuole essere accusata di “socialismo” e torna a confidare nelle leggi del mercato. Svolta effimera. Passano due giorni e la Casa Bianca torna sui suoi passi. Prima spende 85 miliardi per evitare la bancarotta di Aig, maggiore gruppo assicurativo del mondo. Poi organizza il salvataggio da 50 miliardi di dollari della banca di investimento Merrill Lynch che viene acquisita dal Bank of America, una banca commerciale. Qualche giorno dopo, Henry Paulson, segretario al Tesoro Usa, presenta il Tarp, il piano del governo per comprare dalle banche i titoli “tossici”, cioè quelli che provocano rilevanti perdite nei bilanci bancari. Un progetto da 700 miliardi di dollari, di cui solo 350 miliardi saranno poi approvati, e con molti vincoli, dal Congresso. Denaro che convince Goldman Sachs, unica grande banca di investimento Usa sopravvissuta alla tempesta della crisi finanziaria, a trasformarsi in banca commerciale per poter accedere ai fondi del Tarp. Lo farà anche American Express, uno dei big delle carte di credito.

La crisi sbarca in Europa
Il terremoto si propaga anche in Europa dove, tra settembre e ottobre, si intensificano gli interventi dei governi a sostegno del sistema bancario. Il Belgio e i Paesi Bassi raggiungono un accordo, al momento bloccato dalla corte d'appello, per cedere gli attivi di Fortis a Bnp Paribas. La Germania va in soccorso di Hypo Real Estate, Bayersiche Landesbank e WestLb. L’Irlanda annuncia che garantirà i depositi dei piccoli risparmiatori nelle sei principali banche di deposito del paese fino a un ammontare di 400 miliardi di dollari. Il sistema bancario islandese salta insieme alla moneta nazionale (-30% in pochi giorni) e Rekjiavick è costretta a chiedere l'aiuto internazionale. Terremoto in Gran Bretagna. Su 2mila miliardi di dollari di bond Usa collocati fuori dagli Stati Uniti, e in odore di insolvenza (default), ben 290 miliardi sono finiti nel Regno Unito. Così l’8 di ottobre, il primo ministro britannico Gordon Brown, annuncia la nazionalizzazione parziale delle principali banche della City: Abbey, Barclays, Hbos, Hsbc, Lloyds Tsb, Nationwide Building Society, Royal Bank of Scotland, e Standard Chartered. Francia, Belgio e Lussemburgo agiscono in favore di Dexia. Si teme persino l’assalto allo sportello da parte dei risparmiatori, un timore che induce i governi di mezzo mondo a porre la garanzia statale sui depositi bancari

La crisi passa dalle banche alle famiglie
Nonostante le continue iniezioni di denaro liquido per soccorrere gli assetati mercati finanziari, da parte delle banche centrali, la cura non funziona. Il mercato interbancario rimane bloccato, non assicura più quel flusso di prestiti che dalle banche scende fino alle imprese per finanziare capitale circolante e investimenti. Le banche non si prestano denaro, temono che la controparte possa fallire e i tassi si impennano. L’Euribor a tre mesi, a cui sono indicizzati prestiti commerciali, mutui e bond vola al 5,39%, il massimo storico dall’introduzione dell’euro (primo gennaio 1999). Famiglie e piccole e medie imprese cominciano a pagare il costo della crisi dovendo fronteggiare un aumento degli interessi sul debito e maggiori difficoltà nell’accesso al credito. L’8 di ottobre le banche centrali decidono, finalmente, un taglio coordinato del costo del denaro su scala globale, dagli Usa all’Eurozona, passando per Cina, Svizzera, Regno Unito. Si vuole evitare il “credit crunch” (il razionamento del credito) che potrebbe avere pesanti ripercussioni sull’economia reale. Per far questo occorre sbloccare il mercato interbancario. Al G7 dell’11 di ottobre, i sette grandi del mondo si impegnano a misure per “stabilizzare i mercati finanziari e riattivare il flusso del credito al fine di sostenere la crescita economica globale”. L’indomani, l’Eurogruppo autorizza gli stati membri a fornire garanzie statali (complessivamente circa 1000 miliardi di euro) sui prestiti interbancari e sugli aumenti di capitale delle banche. Si vuole ripristinare la fiducia tra gli operatori e spingerli a fornire credito all'economia.

Alla Casa Bianca arriva Obama: uomo della speranza
La crisi finanziaria è dilagata nell’economia reale e il 21 ottobre il Governatore della Banca di Italia, Mario Draghi lancia l’allarme recessione. La pensano nello stesso modo Ben Bernanke, presidente della Fed, e Jean-Claude Trichet, presidente della Bce. Le prime avvisaglie arrivano il 30 di ottobre, il Pil Usa del terzo trimestre scivola a -0,3%, la domanda aggregata scende del 3,1%, la peggiore flessione degli ultimi 28 anni. Il polo automobilistico di Detroit è in piena crisi, General Motors e Chrysler sono sull’orlo della bancarotta, Ford continua a perdere denaro. Così le tre major dell'auto “made in Usa” chiedono l’aiuto dello stato. Ai primi giorni di novembre, Barack Obama conquista la Casa Bianca. Il neopresidente chiede al paese di restare unito di fronte alla crisi e promette “una politica non solo per Wall Street, ma soprattutto per la Main Street (la gente comune)”. Si arriva al 15 di novembre con il meeting di Washington tra i 20 grandi del mondo. Di fronte all'emergenza della crisi della finanza e dell’economia reale il G8 finisce in archivio. Sarà materiale per gli storici. Al suo posto arriva il G20 che riconosce piena cittadinanza ai paesi emergenti, i nuovi protagonisti dell’economia globale. Tante facce nuove nella nuova stanza dei bottoni, oltre a Cina e Russia, c’erano i leader di Brasile, India, Indonesia, Messico e Arabia Saudita. Ma anche un convitato di pietra, il prossimo presidente degli Usa, Barack Obama, che non partecipa in quanto in carica solo dal 20 gennaio 2009. Così il vertice si conclude con un generico richiamo alla necessità di maggiore trasparenza nei mercati finanziari e di maggiore coordinamento globale. Due gli impegni concreti, la convocazione di un nuovo vertice per il 2 di aprile 2009 per stilare misure concrete e l’intenzione, peraltro già disattesa, di chiudere l’accordo sul commercio mondiale (Doha round), sul quale si confrontano i differenti interessi dei paesi ricchi e di quelli emergenti.

E’ recessione: partono i piani anticrisi
L’amministrazione Usa interviene con 20 miliardi di dollari per salvare dalla bancarotta Citigroup, la maggiore banca commerciale del paese. Entra in recessione, per la prima volta dalla sua giovane storia, anche l'Eurozona. Nel terzo trimestre il Pil segna -0,2%, la seconda flessione consecutiva dopo la medesima contrazione registrata nel trimestre precedente. A ruota segue il Giappone, dove la Toyota, il maggiore produttore mondiale di auto registra, per la prima volta nella sua storia, una perdita operativa di 1,1 miliardi di dollari. Frenano i paesi emergenti, in primis la Cina che torna a crescere dell' 7-8% all'anno, il minimo degli ultimi 20 anni. Nel mese di dicembre i crescenti pericoli di recessione e deflazione inducono le banche centrali a nuove decisioni. La Federal Reserve e Banca del Giappone azzerano i tassi di interesse, la Banca di Inghilterra annuncia che lo farà, la Bce riduce il costo del denaro al 2.50%. Con il costo del denaro così basso la parola passa ai politici. Negli Usa, il governo del presidente uscente George Bush soccorre le tre major dell’auto con 17 miliardi di dollari sotto forma di prestiti agevolati. Il neo presidente Barack Hussein Obama, a fronte di 3,5 milioni di nuovi disoccupati, annuncia un “New Deal” economico da circa 850 miliardi di dollari. I governi europei, sia negli ambiti decisionali nazionali approvano ed ampliano piani di spesa pubblica per sostenere l'economia per complessivi 200 miliardi di euro. La Cina mette sul piatto 600 miliardi di dollari. Basteranno a risollevare l’economia globale? Per il Fondo Monetario Internazionale “servono politiche più aggressive” per contrastare la recessione ed evitare “un più severo declino economico”. Il Fondo ha già detto che le sue ultime previsioni sul Pil mondiale del 2008 e del 2009, rispettivamente +3,7% e +2,2%, verranno tagliate drasticamente.

I buoni del tesoro ritornano come cincinnato
Dal crack della Lehman molte bolle si sono gonfiate. In 4 mesi, da settembre a dicembre, le borse hanno sacrificato circa il 30%, la stessa perdita che avevano accumulato nei precedenti 18 mesi. L'indice delle materie prime Crb è sceso dai massimi storici ai minimi del 2002, in 120 giorni ha perso quanto guadagnato in sei anni. Tra le materie prime, rame e petrolio sono scesi del 70%, le merci agricole sono ai minimi pluriennali. Unica eccezione l’oro che, sulla scia dell'incertezza economica e della debolezza del dollaro, si è mantenuto stabile sopra 800 dollari l’oncia. La tenuta del metallo giallo segnala la preferenza degli investitori per beni-rifugio. Come forse lo stanno diventando i titoli di stato, i cui rendimenti sono in forte discesa. Negli Usa, i Tresaury Bills (l’equivalente dei Bot) sono andati a ruba anche se offrivano un rendimento pari a zero, In Italia, il rendimento dei Bot supera di poco l’1%. Stessa musica sui titoli a lungo termine. Quelli Usa stanno scendendo verso il 2%, il Bund tedesco è sceso persino sotto il 3% per la prima volta dal 1999, il Btp viaggia in area 4,30 Tra le ragioni di questa tendenza internazionale, c’è l’avversione al rischio degli investitori che preferiscono investimenti “sicuri”. Ma pesa anche decisione della Fed che, dopo aver ridotto i tassi a zero, si prepara a finanziare l’economia con politiche quantitative, cioè acquistando direttamente sul mercato di titoli di stato. I prezzi dei titoli di stato appaiono dunque destinati a salire e i rendimenti a scendere, un controsenso considerando che nel solo mese di ottobre, primo mese dell’anno fiscale 2008-09, il deficit federale Usa è salito da 55 a 237 miliardi di dollari. E saliranno, per le politiche espansive anche i deficit pubblici di Ue e Giappone. Non sono pochi a chiedersi se, dopo le vecchie bolle degli immobili, dei titoli strutturati del credito, delle azioni e delle materie prime, si prepari quella nuova dei Titoli di Stato.