Musica - i consigli della settimana


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Easy listening e folk-pop

Nuovi cd per i Counting Crows e Lisa Hannigan

di Maurizio Iorio

Counting Crows
Underwater sunshine (Collective sounds)

Counting Crows, da San Francisco, California. Hanno appena spento le venti candeline sulla torta della loro carriera, ma in Italia non se n’è accorto quasi nessuno. Al contrario, negli Usa sono più che famosi. Adam Duritz e compagni arrivarono alla ribalta per caso, autentici misconosciuti, chiamati a sostituire l’improvvisa defezione di Van Morrison alla cerimonia della Rock & Roll Hall of Fame, nel 1993, introdotti da un entusiasta Robbie Robertson (ex-The Band). Subito il primo album, “August and everything after”, prodotto da T-Bone Burnett, uno con il fiuto di un setter. “Mr. Jones” divenne la canzone-marchio di fabbrica, anche se il problema della band è stato sempre quello di mettere insieme le liriche tormentate del cantante Adam Duritz con il suono da California anni ’60-’70, decisamente più “easy”. Operazione complicata ma riuscita, anche se con i classici alti e bassi, dovuti per lo più alle instabili condizioni psico-fisiche di Duritz. Da allora, sei album di inediti e tre live, più quest’ultimo “Underwater Sunshine”, che è un assemblaggio di cover. Il che farebbe pensare alla classica crisi da fine ispirazione. Invece i Counting riescono a suonare canzoni altrui, peraltro quasi tutte sconosciute ai più, come se fossero le proprie, con il piglio di chi si è liberato di un peso, e adesso vola leggero per l’etere. Duritz, non dovendo raccontare le sue ossessioni, guida la band con passo felice, come se si fosse disintossicato dalle scorie della sua musica (e non solo da quelle). Le canzoni appartengono a band in cui hanno militato i vari componenti dei Counting, come i Tender Mercies, oppure a band che qui in Italia non hanno diritto all’anagrafe, come i Teenage Fanclub o i Pure Prairie League. Però c’é anche un Dylan (“You ain’t going nowhere”) o i Faces di Rod Stewart (“Oh, la la”), o ancora un Gram Parsons (“Return to the grevious angel”). Gran bell’album, indicato per chi ama il suono country-rock di marca californiana.

Lisa Hannigan
Passenger (Hoop recordings)

Giovane (appena trentenne), carina (che non guasta), multi- strumentista (chitarra, tastiere, batteria), cantautrice, irlandese. E’ il profilo di Lisa Hannigan, due soli album all’attivo, ed un brano che gira per radio e televisioni, perché colonna sonora di uno spot pubblicitario (“What I’ll do”). Per svariati anni, quasi sette, è stata al fianco di Damien Rice, inquieto talento cantautorale d’Irlanda, che un bel giorno del 2007 l’ha defenestrata, definendo conclusa la loro esperienza professionale, oltre che quella sentimentale. Così la ragazza, che non si è persa d’animo, s’è rimboccata le maniche e ha messo nero su bianco le sue canzoni, dando libero sfogo alla sua vena folk-pop, fra Tory Amos e Fiona Apple. Canzoni semplici, soffuse, molto legate agli stilemi musicali della sua terra, coniugati in bella scrittura con melodie pop, decisamente accattivanti. Arrangiamenti scarni (c’ha pensato il cantautore statunitense Joe Henry) e delicato lavoro di sottrazione sonora. Niente orpelli, poche cose, tutte al posto giusto. Il 7 maggio suonerà ai Magazzini Generali di Milano.