di Sandro Calicedi Tarsem Singh, Usa 2012, fantastico (01 Distribution)
Julia Roberts, Lily Collins, Armie Hammer, Nathan Lane, Mare Winningham, Michael Lerner, Robert Emms, Sean Bean, Jordan Prentice, Mark Povinelli.
Del resto la maggior parte delle favole che conosciamo non sono nemmeno quelle originali. C’è poco da meravigliarsi, quindi, se ogni tanto qualcuno si immagina di raccontarci una storia “diversa”. Di recente è capitato a Cappuccetto Rosso, quest’anno ci aspettano ben due Biancaneve. Questa è la prima.
C’è una regina bellissima e dal sorriso cattivo che racconta al suo specchio magico (“Mirror, Mirror” è il titolo originale) di come sia arrivata fin lì. Di come ha sedotto il grande e magnanimo re rimasto vedovo e di come si sia trovata ad accudire, per modo di dire, l’odiata figliastra Biancaneve quando il re è scomparso nella foresta magica. Di come le interessino solo bellezza e potere e di cosa è disposta a fare per ottenerli. Lo specchio però non ascolta soltanto, parla pure: e – ci pare – con una punta di sadismo le dice che quella Biancaneve sarà la sua rovina. La ragazza, infatti, cresciuta rinchiusa nel castello, si mette in testa che vuole conoscere il mondo. Da quel momento succede di tutto, più o meno quello che sappiamo: il villaggio dei sudditi che rimpiangono il re suo padre, i sette nani, il bel principe, intrighi, imbrogli, magie, mostri e crudeltà varie. Come vissero alla fine, lo vedrete voi.
Uno sguardo al passato per ammiccare al futuro. Queste le intenzioni del regista indiano Tarsem Singh (“The Cell”, “Immortals”), che si ispira ai fratelli Grimm più che alla versione di Disney nel tentativo di attualizzare i personaggi della storia, con una regina – la vera protagonista – vittima della vanità, una Biancaneve tutt’altro che sprovveduta e indifesa (e nemmeno bellissima, viste quelle sopracciglia alla Frida Kahlo), un principe un po’ fesso e sette nani che non vorreste incontrare di notte in un vicolo buio. Nulla di troppo spaventoso o adulto, intendiamoci, piuttosto un’operazione “furbetta” per rendere il prodotto appetibile ad adolescenti più scafati - si suppone - dei loro coetanei di qualche decennio fa. Tutt’intorno c’è una brava Julia Roberts e un regista che, tralasciando l’abusato aggettivo “visionario”, è un fantasioso confezionatore di immagini (si fece conoscere col video musicale di “Losing my religion” dei R.E.M., col quale vinse anche un Grammy), un maniaco dei dettagli che preferisce fin quando è possibile set reali agli effetti speciali, che alterna riprese di favolosi ambienti e paesaggi a primissimi piani, che ama costruire mondi fantastici, e almeno questo ce lo trasmette con allegria. Per famiglie, senza impegno.
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