Parla la Segretaria Confederale Cisl


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Ocmin: ‘Sostenere la contrattazione di secondo livello’

'E’ necessario implementare strumenti e misure di conciliazione dei tempi' ocmin_cisl_296

di Roberta Balzotti e Monica Moretti

“La Banca d’Italia, in più occasioni, ha quantificato in circa 7 punti di Pil in più una maggiore presenza della componente femminile nel mercato del lavoro. Aumentare l’occupazione femminile non è, dunque, “solo” una questione di pari opportunità, bensì un obiettivo strategico per la crescita dell’Italia”. Liliana Ocmin è Segretaria Confederale della Cisl con delega a donne, giovani e immigrati. “Nel nostro Paese - dice - l’accesso delle donne nel mondo del lavoro è ancora ampiamente al di sotto del livello medio europeo e la crisi in atto sta penalizzando fortemente le professionalità femminili, impoverendo di conseguenza il mondo del lavoro e ridimensionando la centralità del principio delle pari opportunità. Dobbiamo riuscire ad invertire la tendenza che vede le donne più facilmente espulse dai processi produttivi ed incontrare, poi, maggiori difficoltà nel ricollocarsi all’interno del mercato del lavoro.

Le politiche messe in campo dal governo finora quanto contribuiscono a risolvere il problema della disoccupazione femminile. Quali misure sono più urgenti?
Il nodo cruciale per il sostegno e la tenuta di politiche di inclusione femminile nel mercato del lavoro è, strettamente legato, non solo alla capacità di adottare piani efficaci di sviluppo economico, ma anche alla capacità di implementare strumenti e misure di conciliazione tempi di vita e tempi di lavoro. Come Cisl siamo convinti che per rilanciare e sostenere l’occupazione, in particolare quella femminile, oltre a rafforzare le politiche attive per il lavoro, sia indispensabile mettere al centro la famiglia, potenziando i servizi di sostegno alle famiglie in difficoltà a partire da un fisco più equo. E’ inoltre prioritario sostenere la contrattazione di secondo livello grazie alla quale è possibile conciliare la flessibilità alla produttività delle aziende.

L’Italia è ancora indietro per quanto riguarda la conciliazione dei tempi di lavoro. E’ anche un problema culturale?
Vogliamo dare vita ad una vera politica della conciliazione, che faciliti l’applicazione di accordi e buone prassi in grado di promuovere una cultura di impresa familiarmente responsabile dove prevalga l’idea che adottare piani di welfare aziendale conviene ai lavoratori e lavoratrici ma anche alla stessa impresa in termini di fidelizzazione del personale, incremento della produzione ed efficienza, investimento nel proprio futuro di successo. Insomma sostenere la contrattazione di secondo livello a livello aziendale è la via maestra per migliorare l’organizzazione del lavoro, per coniugare l’esigenza di flessibilità dei lavoratori e lavoratrici insieme alla produttività concordando, per esempio, la rimodulazione degli orari di lavoro attraverso misure che liberino e articolino diversamente il tempo, tutto nell’ottica, di rimuovere i principali ostacoli all’occupazione femminile e intervenendo compiutamente sull’attuale sistema di welfare che, purtroppo, è debole e inadeguato a soddisfare le esigenze di cura di figli, anziani e/o non autosufficienti dei lavoratori e delle lavoratrici.

Le donne immigrate sono una risorsa e una realtà nel mondo lavorativo italiano: quali garanzie oggi hanno e come tutelarle di più? E quanto sono di supporto alle lavoratrici italiane?
Le famiglie italiane, secondo dati Inps, sempre più spesso ricorrono all’ausilio dei collaboratori domestici che, nella stragrande maggioranza sono giovani donne immigrate, che con il loro prezioso lavoro come colf e badanti aiutano le donne italiane e le nostre famiglie a conciliare vita lavorativa e vita privata. Il sostegno dei lavoratori domestici alla conciliazione delle famiglie italiane è decisivo e la Cisl che da sempre ne ha riconosciuto l’importanza e ne ha tutelato gli interessi attraverso il contratto collettivo del settore domestico, negli ultimi anni è stato istituito l’ente bilaterale Cas.sa.colf , ovvero uno strumento che le parti sociali firmatarie del contratto collettivo nazionale del settore domestico hanno messo a disposizione dei lavoratori e dei datori di lavoro per fornire prestazioni assistenziali, nel rispetto delle specifiche prerogative di rappresentanza sindacale.



Il precariato è diffuso di più tra le giovani donne, impedendo nella maggior parte dei casi progetti di vita e facendo rinviare scelte di maternità. Le risposte che arrivano dal tavolo governo-parti sociali sono risolutive per una stabilizzazione dei giovani, in particolare delle donne?
Come Cisl sosteniamo da tempo che “la donna che non lavora non fa figli” e questo è un danno per il futuro del Paese. Le donne si ritrovano sovente sole dinanzi al bivio: carriera o famiglia e, spesso, schiacciate dal “peso” della scelta si fermano perché sono diventate madri e “mettono su famiglia”. Siamo convinti il precariato nasce dalla distorsione di istituti contrattuali che dovrebbero favorire la flessibilità e conseguentemente l’ingresso e la permanenza dei giovani nel mercato del lavoro. Il precariato è la flessibilià che è stata gestita male e che rischia di lasciare in un limbo di non tutela tanti lavoratori e lavoratrici. C’è una risposta un vero e proprio patto sociale, che aspettiamo come sindacato e come società civile dal governo. Da un altro canto siamo in prima linea per sensibilizzare un urgente intervento legislativo per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco consapevoli che a pari passo va incentivata politiche familiare a sostegno della natalità vista come bene pubblico e condizione fondamentale per il futuro del Paese.

Il tanto discusso articolo 18, quanto tutela le lavoratrici?
L’articolo 18 non è un tabù e tantomeno in questo momento di difficoltà economica e sociale che stiamo attraversando la priorità per il paese. Sono altre le emergenze che le diatribe dell’articolo 18 rischiano di oscurare.

All’interno del sindacato, ha mai percepito discriminazioni di genere?
Nella mi esperienza personale, ho riscontrato che attraverso il sindacato è possibile contribuire al cambiamento sociale, culturale per favorire la coesione e giustizia sociale nel rispetto che come persone uomini e donne, immigrati e nativi, giovani e meno giovani meritiamo. Le discriminazione talvolta sono frutto delle rigidità culturali e dei pregiudizi più delle volte tramandati da generazioni. Ed a questo errore contribuiamo un po’ tutti abbattere le discriminazione nei luoghi di lavoro, garantire percorsi di carriera fondati sul merito dove sia premiato il talento è una sfida che dobbiamo rinnovare quotidianamente. Dobbiamo, ricordare che esistono strumenti legislativi nazionali e comunitari, da utilizzare al meglio, che hanno proprio l’obiettivo di rimuovere i principali ostacoli che impediscono la piena realizzazione del principio di parità e di non discriminazione a partire dal luogo di lavoro. La norma da sola non basta, perché la vera riforma che è di carattere culturale.