di Rodolfo Fellini
(r.fellini@rai.it)
Oggi, 110 milioni di russi tornano alle urne per eleggere il nuovo presidente. Il voto si svolge nell’arco di una giornata e mezza, in virtù dei 9 fusi orari che conta il Paese. Gli analisti sono unanimi nel pronosticare la vittoria dell’attuale premier, Vladimir Putin, che punta a un terzo mandato dopo i due già consumati tra il 2000 e il 2008. L’unica incognita sarà capire se Putin sarà eletto al primo turno o se dovrà ricorrere al ballottaggio. Quest’ultima opzione sarebbe letta come un preoccupante segnale di debolezza per l’unico uomo forte del Paese.
Putin succede a Dmitrij Medvedev, che fu vicepremier durante il suo secondo mandato presidenziale prima di candidarsi al Cremlino nel 2008, aggirando così il divieto costituzionale che impediva a Putin di correre per un terzo mandato consecutivo. La staffetta Putin-Medvedev-Putin ha consentito a Russia Unita, il partito di governo, di mantenere il potere ininterrottamente per 12 anni. Se si considera che già nel 2000 Putin fu designato suo successore dall’allora presidente Boris Eltsin, risulta chiaro che fin dallo smembramento dell’Unione sovietica la Russia è stata dominata da un’unica famigia politica, senza alternanza democratica.
Nel suo quadriennio, Medvedev è divenuto popolare grazie a un rodato sistema di propaganda basato più sugli slogan che su risultati concreti, e a sporadiche prese di distanza da Putin. I suoi estimatori speravano che il presidente sconfessasse l’alleanza con il suo premier e si ricandidasse al Cremlino. Medvedev ha invece tenuto fede all’accordo e lo scorso settembre, al congresso del partito Russia Unita, ha ufficialmente chiesto a Putin di candidarsi. Quest’ultimo ha immediatamente accettato l’invito, promettendo a Medvedev il posto di primo ministro.