Wildt, L’anima attraverso la forma

A Forlì una mostra dedicata allo scultore

di Federica Marino

Michelangelo, che per gli scultori è la pietra di paragone dell’epoca moderna, scolpiva togliendo marmo d’intorno alla figura che vi percepiva imprigionata: attraverso lo sforzo artistico, i corpi strappati alla pietra tornavano vivi, materia animata, in una concezione della scultura che vede lo scultore non più ideatore/artefice ma, invece, quasi “cercatore” di ciò che già esiste.

Quasi quattrocento anni dopo Michelangelo, un’analoga concezione sembra informare l’opera del milanese Adolfo Wildt, che una mostra a Forlì riporta in luce mettendone in rapporto le opere con quelle del Buonarroti, ma anche di Fidia e di altri artisti del passato e suoi contemporanei.

Nato nel 1868, Wildt è apprezzato maestro nella sua epoca. Si forma a bottega e poi entra all’Accademia di Brera; nel 1894 trova un mecenate nel collezionista prussiano Franz Rose, con il quale firma un contratto di esclusiva. E’ il periodo delle mostre a Milano, Monaco, Zurigo, Berlino e Dresda. Alla morte di Rose, nel 1912, Widlt “torna sul mercato”: partecipa a tre edizioni della Biennale di Venezia e a Milano fonda la Scuola del Marmo, poi riassorbita dall’Accademia di Brera, che gli conferisce la cattedra di Scultura per chiari meriti. Fontana, Melotti e Broggini sono tra gli allievi di Wildt, che muore nel 1931.

Al corpus delle opere di Wildt donate ai Musei civici forlivesi dalla famiglia Paulucci di Calboli, la mostra somma l’importante contributo dell’Archivio Scheiwiller, ove sono confluite per eredità familiare molte opere e materiali dello scultore: si tratta di una grande antologica, che situa Wildt nel suo tempo sottolineandone l’originalità espressiva e tecnica.

Nei temi, Wildt è estremamente prossimo ai suoi contemporanei: scolpisce miti, ispirandosi a Wagner, ritrae maschere e ricorda Pirandello, vende opere a D’Annunzio e realizza ritratti dei grandi del tempo: Mussolini, Vittorio Emanuele III, Pio XI.

Classicissimo il materiale - marmo bianco polito fino all’opalescenza, talvolta ceramica- e varia l’ispirazione stilistica: Wildt attinge al Liberty o al Decò come al Simbolismo, passa attraverso il Classicismo Novecentesco e si scopre eclettico, senza rinunciare a richiami al Quattrocento, al Manierismo, al Barocco o al Realismo magico.

Se nello stile Wildt si fa multiforme per esprimere la sua arte, nelle sue opere è però possibile rintracciare una costante tensione verso la spiritualità del soggetto rappresentato, si tratti di persone reali o di allegorie: un esempio per tutti, l’Autoritratto del 1908: i lineamenti riconoscibilissimi dell’artista sembrano deformarsi come cera in una maschera dolente e allucinata, che ritrae un volto ma forse anche l’essenza, lo spirito incarnato in quei tratti corporei.

A questa tensione rimanda il titolo, ”L’anima e le forme da Michelangelo a Klimt: Michelangelo liberava dal marmo i corpi, Wildt ne ha cercato l’essenza rendendo le forme sempre più incorporeee, quasi simbolo di se stesse, come le figure del Beethovenfries di Klimt nel viennese Palazzo della Secessione.

Wildt - L'anima e le forme da Michelangelo a Klimt
Forlì, Musei San Domenico
Fino al 17 giugno



Nelle immagini, dall'alto: Autoritratto, Mussolini e La Concezione