Il posto fisso? E' "un'idea superata", della quale i disoccupati italiani "devono liberarsi". Ne e' convinto Stefano Bory, classe 1975, sociologo dell'Universita' di Napoli Federico II e associato presso l'Iris-Ehess di Parigi, che invita i giovani "a fare proprie le nuove tipologie di contratti", che puntano piu' "sulla qualita' che sulla quantita"'.
"L'Italia e' ancorata a un modello industriale che non ha piu' motivo di essere", spiega all'Adnkronos Bory, che auspica la nascita, tra i giovani, di una nuova mentalita' che si potrebbe mettere in pratica a suo avviso "soltanto se i giovani avessero piu' voce in capitolo nei tavoli di progettazione e concertazione sul lavoro", precisa.
"Siamo un paese demograficamente molto vecchio - dice il sociologo - per cui tutte le politiche si concentrano in favore delle fasce di popolazione dai 45 anni in su, svantaggiando le fasce giovanili". Per Stefano Bory pero' non c'e' bisogno solo di una rivoluzione culturale, ma anche istutuzionale. Secondo il sociologo il Governo deve necessariamente "creare politiche e finanziamenti forti per i giovani, per incentivare la nascita delle imprese; per ora sia i finanziamenti sia le politiche per i giovani sono davvero troppo pochi - ha affermato Bory - La creativita' c'e' ma non ha terreno su cui costruirsi".
Il sociologo non crede alla disoccupazione e alla crisi fino in fondo. "Il primo punto cruciale e' di tipo culturale - ha spiegato Bory - Sono convinto che alcune rappresentazioni del mondo intervengono sulla realta' secondo il 'principio della profezia che si auto-avvera'. Cio' comporta che le imprese e il mercato non creano posti di lavoro perche' c'e' crisi".
Insomma, secondo Bory, la notizia che 'c'e' crisi', andando di bocca in bocca, produce la diffusione del timore di creare nuovi posti di lavoro e investimenti che paralizza il mercato.
Per il sociologo il problema nasce dalla conoscenza parziale delle reali condizioni del Paese: "Dire che c'e' crisi non vuol dire che c'e' ovunque, ci sono molti settori che non lo sono. Bisognerebbe produrre un terreno mediatico lontano da slogan comuni e piu' aperto alla molteplicita' delle situazioni". Insomma, bisognerebbe conoscere la situazione reale di tutti i settori prima di fare eco a voci di corridoio.