Primo anniversario della Rivoluzione


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L'Egitto un anno dopo

Colloquio con la politologa Randa Achmawi

di Valerio Ruggiero

Dodici mesi fa esplodeva la rivolta contro il regime trentennale di Hosni Mubarak. Come Ben Ali in Tunisia, anche il presidente egiziano veniva infine costretto a gettare la spugna da una sollevazione popolare impensabile fino a poche settimane prima.

L’onda della Rivoluzione travolse il potere, ma non senza lasciare a Piazza Tahrir e nelle strade del Cairo 850 morti, per i quali Mubarak, ormai debole e malato, è oggi sotto processo. Da allora, molte cose sono cambiate in Egitto, ma molte altre restano da cambiare. Il lungo processo elettorale – tre fasi in altrettanti mesi – per nominare i membri del Parlamento, appena insediato, ha visto trionfare i partiti islamici sulle forze laiche e liberali: Libertà e Giustizia, espressione politica della Fratellanza musulmana e i Salafiti radicali di Al Nour hanno conquistato rispettivamente il 47% e il 24% dei 498 seggi, lasciandone poche decine ai liberali di Al Wafd e del Blocco egiziano, ai nostalgici di Mubarak e agli attivisti di Rivoluzione continua. Molti, dentro e fuori l’Egitto, pensano che gli ideali della rivoluzione siano stati in qualche modo traditi dal risultato del voto e da una transizione governata finora dal Consiglio supremo delle Forze armate. E c’è chi teme che possa essere un’alleanza tra le forze islamiche a porre le basi del nuovo Egitto.

“Molte ragioni fanno ritenere che i partiti Libertà e Giustizia della Fratellanza musulmana e Al Nour dei Salafiti, che insieme hanno ottenuto la maggioranza nel Parlamento egiziano, non coopereranno né daranno vita a un’alleanza”, spiega a Televideo Randa Achmawi, analista politica egiziana per anni corrispondente da Parigi del settimanale Al Ahram Hebdo. “La prima ragione è la natura stessa di ognuno dei due partiti. La Fratellanza musulmana è stata costretta a nascondersi fin dalla sua nascita, nel 1928, e ha avuto i suoi membri arrestati e torturati dal vecchio regime. Invece i Salafiti, nel passato, sono stati un movimento che si proclamava apolitico. E sebbene ora cerchino di nasconderlo, non hanno mai espresso alcun tipo di opposizione al regime di Mubarak. Al contrario, hanno sempre consigliato ai propri sostenitori di non opporsi al presidente, perché per loro contrastare un governante va contro i principi dell’Islam. Dobbiamo ricordare che nel passato i Salafiti hanno sempre predicato che la democrazia è peccato. Molti dei loro appartenenti lo dicono ancora oggi e non si vergognano di sostenere che debba essere usata solo come uno strumento per raggiungere il potere e imporre la loro interpretazione dell’Islam sulla società. Per questo si è spinti a pensare che il dialogo tra loro sia difficile e, più che collaborare, appaiono in competizione per assicurarsi i favori dell’elettorato con tendenze islamiche”.

“Ma la ragione principale per cui molto probabilmente non coopereranno è l’attuale deterioramento dell’economia egiziana. L’Egitto dipende fortemente dagli investimenti stranieri e soprattutto dal turismo, che rappresenta una delle principali fonti di reddito e di valuta pregiata. Le proteste e gli eventi dello scorso anno hanno spaventato investitori e turisti: il risultato è stato un forte calo delle riserve di valuta straniera. Dunque, chiunque governi il Paese nei prossimi anni dovrà concentrarsi su come creare incentivi per gli investimenti stranieri e riportare i turisti in Egitto”.

E’ possibile che la Fratellanza musulmana, più moderata, cerchi un’alleanza con i partiti liberali?
“Storicamente, la Fratellanza musulmana non è mai stata considerata un’organizzazione islamica moderata. L’opportunità aperta dalla Rivoluzione del 25 gennaio ha spinto il gruppo a rafforzare il proprio pragmatismo e a cercare di evitare contrasti con i Paesi occidentali. Così, dopo il rovesciamento di Mubarak, i leader del movimento hanno cominciato a moderare il proprio linguaggio. Sanno bene, da ciò che è accaduto ai gruppi islamici eletti in Algeria e a Hamas in Palestina, che se vogliono ottenere il potere e governare devono guadagnarsi la fiducia delle potenze straniere. Ovviamente, in ballo c’è anche il mantenimento dell’accordo di pace con Israele”.

“I Salafiti potrebbero comunque spingere la Fratellanza musulmana ad irrigidire le sue posizioni sui temi religiosi. Per quanto riguarda un’eventuale alleanza con le forze liberali, se ne discute molto in questo periodo, così come sulle priorità da affrontare nei prossimi anni. Ovviamente la sfida principale per il neoeletto Parlamento sarà come rispondere alle domande della piazza e della Rivoluzione, che chiedono giustizia sociale e dignità. Per garantirle al popolo, il nuovo governo dovrà migliorare la qualità della vita con più posti di lavoro, più istruzione, una sanità migliore e così via. Questo significa promuovere l’economia; per farlo, occorre migliorare l’immagine dell’Egitto nel mondo, mostrarsi alla comunità internazionale come un Paese moderato e tollerante, rispettoso delle donne e delle minoranze, con cui chiunque possa dialogare e cooperare”.

Qual è la ragione della sconfitta delle forze politiche laiche e degli attivisti di Rivoluzione Continua?
“Un risultato poco entusiasmante dei partiti non religiosi era nelle previsioni. I gruppi orientati verso l’Islam sono chiaramente i movimenti più importanti e più organizzati sul territorio. I partiti laici sono divisi e disorganizzati. A lungo sono stati nel mirino del vecchio regime, affinché non potesse mai emergere una seria opposizione laica. Questo non è accaduto per i gruppi islamici, che il regime aveva interesse a mostrare all’Occidente come minaccia al modello politico laico. Quanto alla Coalizione rivoluzionaria, il magro risultato è in parte legato alla loro inesperienza politica. Ma soprattutto alla carenza di finanziamenti durante la campagna elettorale. Fratelli musulmani e Salafiti hanno goduto di risorse finanziarie illimitate”.

La maggioranza islamica uscita dalle elezioni potrà condizionare la scrittura della nuova Costituzione. La Legge islamica ne farà parte?
“Non è ancora chiaro come sarà scelto l’organismo che scriverà la Costituzione. Secondo un documento presentato a novembre alle forze politiche, il Parlamento sceglierebbe solo 20 dei 100 membri della commissione incaricata di redigerla. Questo principio è stato rifiutato da molti partiti, in particolare dalla Fratellanza musulmana, che certamente vuole influire sul carattere islamico della Costituzione, ma intende soprattutto assicurarsi che i poteri assegnati al nuovo presidente non siano illimitati come in passato. Riguardo alla questione del carattere islamico della nuova Carta, tuttavia, è probabile che poco o nulla cambi rispetto al documento precedente. Già in esso, la Legge islamica della Sharia era la principale – ma non la sola – fonte della giurisprudenza. Dunque l’Islam è una fonte di ispirazione del diritto nella nuova Costituzione. Quanto alla sua traduzione pratica, assomiglierà alla maggior parte delle Costituzioni nel mondo: niente di paragonabile, ad esempio, alla situazione in Arabia Saudita, dove si sostiene di rispettare i principi della Sharia, ma non c’è una Costituzione come mezzo per attuarli”.