di Sandro CaliceUNDERWORLD – IL RISVEGLIO
di Måns Mårlind, Björn Stein. Usa 2012, azione (Warner Bros.)
Kate Beckinsale, Stephen Rea, Michael Ealy, Theo James, India Eisley, Charles Dance, Scott Speedman, Sandrine Holt, Kris Holden-Ried, Richard Cetrone.
La millenaria guerra tra vampiri e licantropi è ormai uscita dall’oscurità del mito e le due razze sono state quasi sterminate dagli uomini. Almeno così sembra.
Sono passati quindici anni da quando la vampira guerriera Selene e il suo amato Michael, un ibrido umano-Lycan, hanno sconfitto l’Anziano Marcus in “Underworld – Evolution” e ora le due razze sono sull’orlo dell’estinzione, ridotte a sopravvivere nascondendosi nel sottosuolo. Mentre tentano la fuga, Selene e Michael vengono attaccati dagli uomini e colpiti da un’esplosione. Quando la vampira riapre gli occhi sono passati più di dieci anni. E’ all’interno dei laboratori della Antigen, un’azienda biotecnologica che fa esperimenti per trovare un vaccino ai virus che hanno creato Vampiri e Lycan. Di Michael nessuna traccia, ma non è l’unica sorpresa: Selene scopre di avere una figlia, Eve, primo, potentissimo esemplare di una nuova razza con sangue di vampiro e licantropo. Selene deve fuggire di nuovo, ma non immagina che questa volta si troverà davanti un nemico invincibile.
“Underworld: il risveglio” è il quarto capitolo di una saga iniziata nel 2003. Il regista dei primi due episodi, Len Wiseman, qui – come nel terzo film - è sceneggiatore, mentre la regia è affidata a due svedesi (“Shelter – Identità paranormali”, “Storm”) che hanno la particolarità di dirigere un giorno a testa, così l’altro si riposa. Diciamo che dopo l’abbuffata dei vampiri fighetti di Twilight rivedere quelli feroci e arrabbiati di Underworld restituisce una parvenza di dignità al genere. Ma diciamo anche che oltre questo c’è molto poco. Ben lontani dall’appeal dell’idea originaria e dei primi due film, riusciti nel loro genere, questo “risveglio” ha una sceneggiatura banale che funziona quasi solo da pretesto alle scene d’azione, divertenti certo, spettacolari, con un 3D dignitoso, ma che sanno troppo di videogioco, nel senso meccanico del termine. Tante sfumature sbagliate, dalla piccola Eve che ricorda troppo la ragazzina maledetta di “The ring”, al laboratorio della Antigen che sembra composto da cento corridoi e una sola stanza, alle psicologie dei personaggi intarsiate col machete. Peccati veniali, forse, ma che nel contesto rendono la visione un’attesa dei combattimenti tra una pausa e l’altra.
s.calice@rai.it
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