di Mariaceleste de Martino
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Cento anni dopo la Storia si ripete. La tragedia di una nave che al suo primo viaggio, da Southampton, in Inghilterra, a New York, Stati Uniti, urta un iceberg, affonda e perde 1.517 dei suoi 2.223 passeggeri. 1.517 morti, affogati, congelati, portati via dall’Oceano Atlantico. Era il Titanic. Era il 1912. Era la sera tra il 14 e il 15 aprile.
E sempre di sera, cento anni dopo, nel Mar Mediterraneo, a pochi metri dalla costa italiana, la nave Costa Concordia, salpata nel pomeriggio da Civitavecchia, pronta a navigare verso Savona per poi raggiungere le isole spagnole e altre località turistiche del Mediterraneo, urta, apparentemente, uno scoglio, comincia a inclinarsi, e si poggia su un lato. Un gigante delle crociere, in acque tranquille, con a bordo più di 4mila persone, di cui oltre 3mila in vacanza. Sulla Costa Concordia persone venute da tutto il mondo, ma tutti per la stessa ragione: trascorrere una vacanza, per vedere luoghi nuovi, per farsi cullare dalle acque mediterranee. Tra loro, oltre il personale dell’equipaggio, anche artisti professionisti ingaggiati per intrattenere gli ospiti della nave. Sulla Costa Concordia c’era anche Manuela Zanier, cantante, ballerina e attrice, componente del cast di una produzione teatrale inglese. Sopravvissuta. La sera del naufragio si trovava nella sua cabina. E all’improvviso: Buio! Non era quel buio in sala un attimo prima che le luci di scena a teatro puntino sul palco, ma era blackout. Viene annunciato un “guasto tecnico”. Ma poi il buio diventa incognita.
“Che fosse grave l’ho capito subito perché la nave ha cominciato a piegarsi immediatamente”. Manuela resta senza luce in cabina. Apre la porta e lega la maniglia all’esterno per poter far entrare la luce d’emergenza che proviene dal corridoio. La sua cabina si trova al terzo piano del gigante galleggiante, ed è senza oblò, quindi non riesce a vedere cosa accade fuori, e neanche dove si trovino in quel momento. All’inizio pensa di trovarsi in alto mare, al largo. Esce dalla cabina per capire cosa sia successo. Ed è subito panico. La nave comincia a inclinarsi. Le porte delle altre cabine si spalancano. Cominciano a cadere persone dall’alto. Volano giù in picchiata.
“Le vedevo volare, cadere dai piani superiori. Terribile! Ho sbattuto la nuca, poi mi sono retta, ma sono scivolata e ho urtato di nuovo la testa”, racconta concitata Manuela. Urta violentemente le gambe, gli stinchi sembrano spezzati, le ginocchia non rispondono più, pensa di essersi rotta i legamenti, sente di aver perso anche la sensibilità degli arti inferiori, ma non perde la forza.
E come Spider Man si arrampica: “Ho afferrato qualsiasi appiglio per poter risalire. Mi sono arrampicata con tutte le mie forze, perché sono atletica”. Manuela si trova sul lato della nave che emerge dall’acqua, ma la sua cabina è al terzo piano e deve salire, salire, salire per cercare qualcuno che la aiuti a uscire da lì. Trascorrono tre ore. Tre ore lunghissime. Tre ore di sforzi, di angoscia, di incubo, di choc. “Dopo tre ore sono finalmente riuscita a capire dove fossimo, che eravamo a poche bracciate dalla riva. E’ stata la confusione più totale. Le luci della terra ferma sembravano lontane altrimenti mi sarei tuffata, ma faceva freddo, si gelava, sembrava davvero una scena del Titanic”, racconta Manuela Zanier, originaria di Latina, provincia laziale che affaccia proprio sul mare. “Anche se sono un’esperta nuotatrice non me la sono sentita di buttarmi. Non avrei saputo verso dove nuotare. Era buio ed eravamo tutti convinti di essere al largo perché le luci del Giglio apparivano lontane e gli scogli che invece erano vicino a noi sono disabitati quindi non illuminati”.
Si è salvata grazie alle sue forze. “Solo perché mi alleno tutti i giorni sono riuscita a uscire da quell’incubo. Ho visto persone volare, scivolare, urtare violentemente contro le parti della nave. Io avevo tutti i vestiti strappati”. L’urto è avvenuto mentre era in cabina sul letto. “Ho sentito un enorme rumore, tipo ‘grattugiamento’ e dopo pochissimi secondi, tre o quattro al massimo, ho visto il televisore e gli oggetti nella cabina che si muovevano, si stavano spostando, stavano cadendo”.
Ma l’allarme è scattato per il blackout. “Abbiamo ricevuto l’ordine di aspettare. L’annuncio non era del capitano, era fatto in tutte le lingue come previsto, assieme alle regole di comportamento nei casi di emergenza. Io faccio parte dello staff da quattro mesi e conosco la nave, ma per chi è a bordo in vacanza per una settimana è facile che diventi una trappola, un labirinto in cui si perde l’orientamento. E nonostante la mia preparazione ho fatto fatica a salvarmi”.
Il ‘mayday’ è stato dato tardi. “L’allarme è arrivato un’oretta dopo che è scattato il blackout e anche i soccorsi esterni sono arrivati tardi” racconta Manuela Zanier. “Anche gli elicotteri non sono intervenuti subito, io e i miei colleghi abbiamo pensato a una tragedia ‘all’italiana’. Un nostro amico-collega musicista, membro dell’equipaggio, Giuseppe Girolamo, è ancora tra i dispersi. E lui non sa nuotare!”.
“E’ stato panico totale. In attesa dei soccorsi ci cercavamo come dei disperati. C’era chi chiedeva del suo amico o di sua moglie urlando ‘L’avete visto?’. Una mia amica piangeva terrorizzata. Mi ha detto di aver camminato nel sangue. Come da addestramento ho afferrato lo zaino che avevo in cabina pieno di maglioni e li ho distribuiti perché c’era gente in camicia o maglietta, che tremava dal freddo. Indossavo il salvagente, ma mi sono pentita di non averne preso un altro per darlo a chi non lo aveva, c’erano tante persone che non lo indossavano. E’ stato terrificante, proprio come il Titanic.”, dice Manuela.
Oggi, nessuno accetta che una tragedia simile possa essere successa nel nostro mondo a colori, nel Terzo Millennio, a poche miglia dalla riva, su una nave super collaudata e con un lunghissimo curriculum di viaggi alle spalle, comandata da esperti, costruita da ingegneri navali che ne hanno progettate a decine con le tecnologie più avanzate. “Ma è possibile che nessuno pensi che una nave possa inclinarsi!”, esclama Manuela Zanier, cercando di trovare una spiegazione ragionevole. “Se una nave ha un incidente o si inclina verso destra o verso sinistra e a quel punto è impossibile far calare le scialuppe. Forse dovrebbero disegnare le navi in modo diverso, perché il problema sono state le scialuppe che non si riusciva a far scendere in acqua”, continua Manuela ancora sotto choc, a pochi giorni dalla tragedia avvenuta la sera di venerdì 13 gennaio.Ironia della sorte, furono proprio le scialuppe a rappresentare il problema principale della tragedia del Titanic, ne aveva solo 20. Alcuni dissero che erano poche per non rovinare il design della nave, altri perché nessuno si aspettava di dover fronteggiare il disastro più grande della Storia della marina civile. Ma forse andava troppo veloce? Eppure le condizioni del tempo erano ottime: mare piatto e neanche un filo di vento. Le stesse domande che si fanno i passeggeri della Costa Concordia. La Rms Titanic era partita il 10 aprile e dopo due giorni, nonostante fu soprannominata “l’inaffondabile”, affondò. I superstiziosi dissero che era stata maledetta, come si è vociferato sulla bottiglia che non si ruppe durante la cerimonia inaugurale della Costa Concordia. Sul Titanic c’è invece chi disse di aver previsto il disastro, altri ancora videro un segnale nell’ultima canzone suonata dall’orchestra di bordo: Nearer, my God, to Thee.
Manuela Zanier è una cantante. Ha partecipato al Festival di Sanremo nella categoria nuove proposte, alla quarta edizione del programma televisivo X Factor, ha danzato in musical e recitato in pièce teatrali, compresa La Divina Commedia, Tosca, La Bella e la Bestia, è stata una delle protagoniste del film, Smile, una coproduzione americana, in cui ha cantato anche un brano della colonna sonora. Ma a bordo della Costa Concordia al momento dell’”impatto”, del “guasto tecnico”, della tragedia, era un passeggero come gli altri, impaurita e in certi momenti consapevole che la sua vita sarebbe potuta finire per sempre come per quelli che non ce l’hanno fatta.