Pugilato


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Muhammad Ali compie 70 anni

'Leggero come una farfalla, pungente come un’ape' muhammad_ali_296

di Marco Rossi

Cassius Clay, Muhammad Alì, compie 70 anni. E’ nato a Louisville il 17 gennaio 1942 e, forse, è il più leggendario sportivo dell’era moderna. Tutto nasce da un bimbetto di colore al quale il padre, pittore d’insegne, aveva regalato una bici. Il dodicenne esce per fare un giro e non trova più il veicolo dei suoi sogni, corsa disperata al distretto di polizia ma niente bicicletta, solo un poliziotto che dice:”Ragazzo hai mai provato a tirare di boxe?”. Da un episodio così marginale nasce la carriera del più famoso pugile di sempre.

Il ragazzo sveglio e fisicamente perfetto impara presto e meraviglia i romani nel 1960 quando vince l’oro olimpico dei mediomassimi mostrando uno stile mai visto con movimento continuo intorno all’avversario (la farfalla) e una serie di jab che fanno male (l’ape).

A Roma nasce un campione, ma soprattutto un personaggio mediatico mai presente prima sulla scena pugilistica. Nel 1961 Clay passa al professionismo e batte in successione Lamar Clark e Doug Jones, poi nel 1964 uno dei primi episodi che faranno parlare del giovane di Louisville per anni.

Il 25 febbraio 1964 diventa campione dei massimi battendo Sonny Liston ma “The bad big bear” come era chiamato Liston non era un pugile qualsiasi:cresciuto in una piantagione fu mandato nei campi dal padre a tre anni con queste parole:”Se può sedere a tavola può anche andare a lavorare “. Dotato di un fisico impressionante e di una forza bestiale era considerato invincibile e, probabilmente, lo era. Di qui i sospetti mai sopiti di combine nei due match vinti da Clay. Nel primo, Liston inspiegabilmente attacca poco, dopo essersi presentato sul ring con problemi alla spalla. Clay vince al settimo round per un contestato kot. La rivincita fu ancora più controversa: Liston va giù alla prima ripresa a causa di un pugno fantasma (anche se molti sostenevano che Clay avesse colpito fulmineamente l’avversario alla tempia). In tempi successivi Liston e il suo manager fecero intendere che dietro gli strani incontri c’era la mafia e un colossale giro di scommesse. Lo stesso Joe Louis, altro mito del pugilato, sostenne di aver saputo delle combine però rivelò che Clay era all’oscuro di tutto. Ombre a parte era nata una stella. Dal ’64 al ’67 è campione del mondo difendendo il titolo per otto volte.

Già dal 1964 Clay si era convertito all’Islam prendendo il nome di Muhammad Alì. L’influenza delle rivendicazioni dei neri e una crescente consapevolezza politica fecero del ragazzo di Louisville un’icona sociale e politica. L’epilogo fu il ritiro della licenza nel 1967 per essersi rifiutato di combattere in Vietnam. Accusato di renitenza alla leva e incarcerato commentò:”Non ho niente contro i Vietcong, loro non mi hanno mai chiamato nigger”. Ormai Alì era un simbolo degli anni ’60 ma dovette aspettare fino al 1971 per tornare sul ring battendo per ko prima Quarry e poi l’argentino Bonavena però il destino era in agguato e aveva il nome di Joe Frazier che al Madison Square Garden nel cosiddetto incontro del secolo difende la corona battendo Alì ai punti. Ci furono altri due match tra i due: il secondo vinto ai punti da Alì, il terzo disputato a Manila e battezzato “Thrilla in Manilla” è passato alla storia per la violenza e il sacrificio dei due grandi avversari. Il manager di Frazier gettò la spugna all’inizio del quindicesimo round ed entrambi i contendenti dissero di “aver temuto di morire sul ring”.

Dopo 10 vittorie, Alì conobbe un’altra sconfitta ad opera di Ken Norton che trovò il “gancio della domenica”, ma un altro capitolo della storia della boxe stava per essere scritto. Nel 1974 il campione era George Foreman, Clay si presenta come sfidante e l’evento diventa planetario. Ne rimane una documentazione esaltante nel film documentario di Leon Gast “Quando eravamo re” che ha avuto 20 anni di gestazione.

Originariamente previsto come un film sul concerto di musica soul che doveva precedere il match tra Foreman e Alì a Kinshasa nello Zaire, in seguito divenne una cronaca ad ampio spettro del rapporto tra i due pugili e la popolazione africana che vede in Alì una specie di Messia. Foreman, più nero di Alì, viene considerato il nemico, Alì è mitizzato. Resta celebre il coro ossessivo “Alì, boma ye” (Alì, uccidilo!). Foreman è più potente e più giovane di Alì e il match è avvincente: Foreman attacca con foga per otto riprese, lo sfidante si attacca alle corde e rimbalza ad elastico per attenuare i colpi e ripartire in velocità, alla fine dell’ottavo round Foreman è stremato e Alì parte con una serie impressionante di jab e uppercut: è ko e Alì è di nuovo sul tetto del mondo dopo aver scritto un’altra pagina indimenticabile dello sport.

Fu l’apice della sua carriera e sarebbe triste ricordare il lento declino che dal 1976 ha portato Alì verso una sorte che neanche il più pessimista tra i romanzieri avrebbe potuto disegnare: nel 1984 gli fu diagnosticato il morbo di Parkinson , ma l’indomito ragazzo del Kentucky non si è mai arreso. Ha commosso il mondo quando è stato l’ultimo tedoforo alle olimpiadi di Atlanta tremante e balbettante, ma sempre fiero. Gli sono state conferite decine di onorificenze tra cui la Medaglia Presidenziale della libertà, il più alto riconoscimento civile negli Usa, oggi a Louisville è in atto una vera kermesse con la presenza di parenti amici, ex avversari e tutto il circo mediatico di star e vip che fa tanto americano, ma agli amanti dello sport piace ricordare il “labbro di Louisville” che parlava e danzava sul ring sfidando prima ancora degli avversari tutti i pregiudizi e le ingiustizie della società contemporanea. Non c’è festeggiamento che possa aggiungere qualcosa al mito del “Più grande”.