A un anno dalla caduta di ben Ali


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Tunisia, luci e ombre per economia e diritti

Cresce la disoccupazione, turismo ancora in crisi. e c'e' chi teme la deriva islamica ben_ali_tunisia_296

Il 14 gennaio 2011 il presidente tunisino Zine el-Abidine Ben Ali e sua moglie Leila fuggirono da Tunisi alla volta dell'Arabia Saudita, dopo poco meno di un mese di proteste in tutte le principali piazze del paese. La 'Rivoluzione dei Gelsomini', oltre a spazzar via il regime corrotto e repressivo di Ben Ali, al potere da 23 anni, apri' la stagione della 'Primavera araba', costata la poltrona ad altri 'faraoni', dall'egiziano Hosni Mubarak al libico Muammar Gheddafi. Ma a un anno dall'addio a Ben Ali, il bilancio dei tunisini e' un insieme di luci e ombre.

"Karama" (dignita' in arabo) e' stata la parola d'ordine della rivoluzione. "E' una sensazione meravigliosa sentire che ora abbiamo la nostra dignita', che viviamo in un paese libero dove le persone non sono sudditi, ma cittadini", ha detto in una recente intervista al sito francese Mediapart il neoeletto presidente tunisino, Moncef Marzouki.

Ma per poterne godere a pieno, la dignita' deve andare di pari passo con la crescita economica e con l'occupazione, i punti deboli della rivoluzione. Proprio la scintilla della disoccupazione, il 17 dicembre 2010 ha acceso la miccia della rivoluzione. Un giovane laureato della citta' centrale di Sidi Bouzid, Mohammed Bouazizi, costretto a fare il fruttivendolo abusivo per mantenere la famiglia, si diede fuoco in segno di protesta per il sequesto del suo carretto, provocando un effetto domino di emulazione e proteste. Ma da allora la situazione non e' migliorata. Se nel 2010 la disoccupazione in Tunisia era al 13%, nel corso del 2011 ha raggiunto il 18%. La crescita economica, al 5% due anni fa, oggi e' a zero. Il settore del turismo, una delle voci principali dell'economia tunisina, ha conosciuto un calo del 50% delle presenza.

La sfida, per Tunisi, e' convincere i turisti occidentali che il paese e' tornato ad essere sicuro. Ma anche che il partito salito al potere con le elezioni di ottobre, l'islamico al-Nahda, non intendere mettere al bando villaggi turistici, alcolici o costumi da bagno.

"I nostri mezzi sono molto limitati, soprattutto quelli finanziari" e questo fa si' che la fase di transizione debba affrontare "una lunga strada", ha detto il primo ministro, Ahmadi Jebali, in un recente colloquio con i giornalisti italiani in occasione della visita a Tunisi del ministro degli Esteri Giulio Terzi. Il premier ha ricordato come in Tunisia ci siano "800mila disoccupati tra cui 200mila giovani, in gran parte con un livello di istruzione molto alto".

Per Jebali "non e' facile trovare lavoro, soprattutto nei settori piu' colpiti dalla crisi politica, come il turismo". Gli investimenti esteri, inoltre, "sono quasi fermi anche per un fattore di paura e per motivi di sicurezza, cosi' come quelli statali, perche' le risorse finanziarie sono state dilapidate da uno Stato mafioso" ai tempi di Ben Ali. Questa situazione, per il premier, spiega i gesti di quanti, seguendo l'esempio di Bouazizi, continuano a immolarsi in varie citta' del paese. Dall'inizio dell'anno, sono sei i tunisini che si sono dati fuoco. Si tratta di gesti di "disperazione - ha detto il premier - Abbiamo risolto il problema della dittatura, ma non e' finita, bisogna costruire sviluppo, democrazia e stato di diritto e questo non lo si fa dall'oggi al domani". "Questi gesti di disperazione dimostrano quanta strada ci sia ancora da fare, soprattutto per le riforme socio-economiche, che erano la principale richiesta della rivoluzione".

Un'analisi che in parte coincide con quella degli attivisti che hanno animato le proteste di piazza prima e dopo la caduta di Ben Ali. "I tunisini non hanno piu' paura e questo e' molto importante, ma sulle richieste socio-economiche che ci hanno portato in piazza poco e' cambiato", dice la blogger Lina Ben Mhenni, tra le voci protagoniste della 'Rivoluzione dei Gelsomini'.

La blogger, che nel 2011 era stata candidata al Premio Nobel per la Pace, non ha fiducia nei cambiamenti promessi in campagna elettorale dal partito al-Nahda. "Ha fatto promesse che ora non e' in grado di mantenere", dice. Non solo. La repressione violenta di alcune proteste e rivendicazioni economiche che si e' registrata di recente in varie citta' del paese, per la Ben Mhenni e' la prova di come "al-Nahda non sia un partito moderato". La formazione islamica, dopo aver vinto le elzioni, ha rivolto ai partner internazionali messaggi rassicuranti, dimostrando di voler emerginare le frange piu' estremiste. Ma non tutti sono convinti che agisca realmente in questo senso.

"Gli islamici hanno gia' cominciato a costringere le donne a coprirsi con il velo, a non lavorare, a occuparsi solo della famiglia", denuncia Boutheina, dottoressa 44enne di Tunisi. Ma il presidente Marzouki, che pure non fa parte di al-Nahda, respinge queste voci e assicura che il paese, finora il piu' aperto e laico della regione, e' al sicuro. Il 60% della popolazione a ottobre non ha votato per il partito islamico - ha ricordato il presidente - "presentare la Tunisia come un paese caduto nelle mani degli islamisti e' una prova di ignoranza o di cattiva fede".

Ma molte ong denunciano fatti nuovi per la Tunisia, come l'affermarsi in alcune regioni di forze salafite. Secondo la Lega tunisina per i diritti umani, a Sejnane, provincia nord-occidentale, i salafiti si sono insediati in maniera massiccia e cercano di creare un emirato autonomo, governato dalla legge islamica. Secondo l'ong, molti residenti della provincia avrebbero denunciato "atti di intimidazione e violazione dei diritti umani" condotti da militanti salafiti.

Anche una delegazione di giornalisti locali e internazionali, tra cui una troupe dell'emittente 'France24', dopo aver visitato la provincia lo scorso 7 gennaio, ha denunciato aggressioni da parte di giovani salafiti che hanno distrutto la loro attrezzatura. Solo scosse di assestamento, per alcuni analisti, per i quali il passaggio verso un sistema di piena democrazia non e' mai indolore.

Per altri, invece, il segno di un processo di islamizzazione che non riguarda solo la Tunisia, ma gran parte dei paesi della Primavera araba. Come l'Egitto, dove Fratelli Musulmani e salafiti hanno fatto incetta di seggi alle elezioni politiche. O il Marocco, paese risparmiato dalla rivoluzione, dove pero', per la prima volta, un partito islamico e' salito al governo.