I film del week end


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Shame

di Sandro Calice

SHAME

di Steve McQueen (II), Gran Bretagna 2011, drammatico (BIM)
Michael Fassbender, Carey Mulligan, James Badge Dale, Nicole Beharie, Hannah Ware, Elizabeth Masucci, Robert Montano, Lucy Walters, Mari-Ange Ramirez, Alex Manette
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Non c’è nulla di scandaloso in questo film, né di straordinario nel suo protagonista. Potrebbe essere la sua forza.

Brandon (Fassbender) è un affascinante trentenne che ha un ottimo lavoro e una bella casa a New York. Ogni giorno però è una fatica immane. Ogni giorno Brandon si trascina addosso la sua dipendenza dal sesso. Comincia con la metropolitana e gli sguardi che si cercano. Continua con l’ufficio e i sospiri, gli ammiccamenti, i sorrisi imbarazzati. A metà mattinata deve chiudersi in bagno a masturbarsi. Poi sul computer del lavoro, su quello di casa. Le professioniste che vengono a domicilio. E la notte che è lunghissima nella città che non dorme mai, sempre a superare il limite, a cercare altro. Fino a quando non arriva Sissy (Mulligan), la sorella che vive lontano, ferita, in fuga, inquieta. Brandon la odia, perché gli ricorda il brutto posto in cui sono cresciuti, ma la ama, perché può cambiargli la vita.

McQueen e Fassbender tornano a lavorare insieme dopo “Hunger”, il primo film del regista sulla storia dell’attivista irlandese Bobby Sands. Non vogliono scandalizzare, non è questo il senso del film. E’ molto più pornografica certa cosiddetta “tv del dolore”, per intenderci. Non c’è nulla di meno erotico del nudo di Fassbender o delle sue esibizioni sessuali. Perché non c’è gioia, non c’è appagamento, mai un sorriso, al massimo qualche smorfia di veloce piacere che assomiglia molto al dolore. E’ la storia di un uomo che vive con vergogna la sua dipendenza e che a modo suo cerca di liberarsene, lanciando richieste di aiuto al mondo che non lo ascolta, in una città pulsante di una luce livida. Ed è una storia come mille, non unica, che in fondo potrebbe appartenere a chiunque di noi. Così “normale” nella rappresentazione del sesso da apparire quasi piatta, stereotipata: ossessione-soddisfazione-vergogna-tentativi di “guarire”. Una rappresentazione che in fondo è anche la debolezza del film, ridimensionando l’inferno a cui si costringe il protagonista e attenuando l’empatia di chi lo guarda. Fassbender (Coppa Volpi per il migliore attore a Venezia) rende però benissimo l’inquietudine del protagonista, così come Carey Mulligan quella della sorella, due interpretazioni che unite a una buona regia fanno di “Shame” un film che potrebbe avere un suo fascino.

s.calice@rai.it

 

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