La paura dello Stretto

La minaccia dell'Iran di chiudere Hormuz s

di Nello Rega

Questa volta una sottile striscia d’acqua che collega il Golfo Persico con il Golfo di Oman potrebbe innescare una crisi di impatto mondiale. Quasi 60 chilometri di lunghezza, con un punto più stretto di larghezza di appena 21 chilometri, da cui transita circa il 20% del greggio commercializzato in tutto il mondo e il 40% di quello che viene trasportato via mare.

Lo stretto di Hormuz è l’ultima “trovata” del regime di Teheran per tenere sotto scacco l’Occidente. Le autorità iraniane nelle ultime settimane hanno minacciato di chiuderlo, operazione, secondo le forze di sicurezza degli ayatollah “davvero facile, più facile che bere un bicchiere d’acqua”. Da parte sua l’amministrazione americana ha risposto “a muso duro” direttamente al leader supremo Khamenei. Attraverso “canali segreti”, citati dal New York Times, Obama ha fatto arrivare all’ayatollah un avvertimento che suona come un’ultima chiamata: la chiusura dello Stretto innescherebbe una reazione immediata. Intanto, abituati alle “sorprese” di Teheran, l’Occidente sta spingendo che colloqui seri sul percorso nucleare dell’Iran.

E, nonostante, le rassicurazioni fatte dal presidente Ahmadinejad sulla volontà di riprendere il tavolo delle trattative, nulla si muove sulla via degli accordi. “Si tratta certamente di una provocazione. La chiusura dello Stretto di Hormuz non conviene a nessuno. Non è un vantaggio per l’Iran né tantomeno per Usa e Europa. Non vedo ragioni serie per arrivare a questo atto”. Il presidente dell’Istituto Affari Internazionali, Stefano Silvestri (nella foto  qui accanto), commenta così le ultime settimane di “crisi annunciata” da parte dell’Iran, ma avverte: “Comunque in momenti di tensioni ci possono anche essere errori. Se Teheran si sentisse in trappola potrebbe ricorrere anche a questa ipotesi. Nessuno può provare il contrario”.

E all’amministrazione Obama isolare in questo modo l’Iran conviene? “Certamente un Iran isolato è più vulnerabile per poter arrivare a nuove e più aspre sanzioni. E’ indubbiamente un vantaggio. Ma il regime è già isolato di suo”. E questo lo si evince anche dalla situazione politica interna, dove è in atto una vera e propria faida tra opposte fazioni: da una parte il presidente Ahmadinejad, dall’altra Khamenei. Per Silvestri, “la voce alta di Teheran verso l’Occidente con lo spettro della chiusura dello Stretto è una mossa per rafforzarsi agli occhi del popolo. Nessuno vuole far vedere che l’Iran può arrendersi agli altri Paesi”.

In questo scenario, simile a quello di altre crisi che hanno interessato altri strategici Stretti, cosa rischia l’Italia? “L’Italia rischia sicuramente un danno economico. Chiudere lo Stretto significa far lievitare il prezzo del petrolio e quindi danni ai cittadini. Prima eravamo un partner commerciale privilegiato. Avevamo legami economici molto più forti con Teheran. Oggi, a causa delle sanzioni, il giro di affari è molto ridotto. Posso dire che rischiamo quanto gli altri Paesi”.

Con la crisi in atto in Siria, dove l’Iran sembra sempre più isolato, Teheran non potrebbe sentirsi alle strette e reagire duramente ad un isolamento non visto prima di oggi? “E’ una ipotesi anche questa. La minaccia esiste, anche se da parte di una tigre con i denti di carta. Logicamente l’Iran non può fare una mossa del genere ma, come dicevo prima, non si può nemmeno escludere che si arrivi alla crisi per un errore. A volte è successo, e a volte può ancora succedere. Al momento aspettiamo le mosse della diplomazia e i ragionamenti strategici del regime degli ayatollah”.

Intanto, tra un monito di Teheran e una risposta dura di Washington, il governo di Abu Dhabi ha deciso che entro il prossimo maggio inizieranno le operazioni di prova dell’oleodotto Hasha – Fujairah (Abu Dhabi Crude Oil Pipeline) che permetterà di bypassare lo Stretto di Hormuz. La pipeline, lunga 370 chilometri, attraversa gran parte del territorio desertico degli Emirati trasportando attorno agli 1,4 milioni di barili di greggio al giorno fino all’Oceano Indiano. La capacità di trasporto potrebbe essere incrementata fino a 1,8 milioni di barili, assorbendo così più del 70% della produzione degli Emirati.

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