Chi sono i pirati somali


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Nababbi-Robin Hood in una terra di miseria

Sono amati dalla popolazione locale pirati_somali_296

Auto di lusso, donne splendide e ville da mille e una notte: ai pirati somali le razzie stanno regalando una vita da nababbi in una terra di miseria. Secondo il giornalista canadese Bob Ewing, che ha fatto un reportage sui nuovi predoni del mare, i pirati sono molto amati dalla popolazione. "Noi tutti beneficiamo da loro", ha raccontato la proprietaria di un negozio di Harardhere, la "Tortuga del Corno d'Africa" dove e' stato tenuto progioniero per undici mesi l'equipaggio della Savina Caylyn.

In un Paese come la Somalia in cui l'aspettativa di vita è di 46 anni e un quarto dei bambini muore ad appena cinque anni, ci sono almeno tre oasi in un deserto di povertà, che vivono del business della pirateria: Eyl, Bossaso e Harardhere.

I pirati sono per lo più ex pescatori agli ordini di signori della guerra costretti a fuggire da Mogadiscio, dove vivevano taglieggiando la popolazione. "Qui ci sono molti negozi e Internet caffè, gli affari vanno benissimo", ha raccontato Sugule Dahir, che possiede una piccola boutique a Eyl.

Come funghi sorgono decine di chioschi in cui a ogni 'lavoro' intrapreso dai predoni del mare vengono vendute sigarette, bibite, cibo, per rifornirli durante le estenuanti trattative.

"Loro solitamente prendono le cose senza pagare", ha raccontato Sugule, che prima di aprire la boutique aveva un chiosco a Ely, "poi, quando ricevono il riscatto vengono a saldare i debiti e ci danno un bel po' di soldi". I racconti degli abitanti di Ely, Harardhere e Bossaso, sembrano coincidere anche con quelli fatti da alcuni marinai che sono stati per 42 giorni nelle mani dei pirati somali: "Gente normale, dalle buone maniere", hanno raccontato gli ex prigionieri liberati dopo il pagamento di un riscatto, "ci dissero: non abbiate paura, siete solo povera gente come noi, non uccideremo nessuno se non vi ribellerete".

Altri due ex ostaggi, rimasti prigionieri per quattro mesi, hanno invece raccontato di come "dopo due o tre mesi eravamo diventati amici, scherzavamo insieme, parlavamo di donne". Una sorta di "sindrome di Stoccolma", che stavolta ha per sfondo i mari caldi dell'Oceano Indiano.