di Maurizio IorioKate Bush
50 Words For Snow
(Capitol)
“Cinquanta parole per la neve”, titolo stralunato e misterioso, che evoca “Il senso di Smilla per la neve”, il bel romanzo di Peter Hoeg, tradotto per il cinema da Billie August. Perché in entrambi, libro e disco, c’è la fascinazione per il candore e la purezza silenziosa di quel manto bianco che segna le stagioni, protegge la terra e il seminato, e ammanta i luoghi di purezza. Salvo lasciare delle tracce che solo in pochi (come Smilla e la Bush) sanno decifrare. La regina delle cime tempestose torna dunque con un disco invernale, ma fortunatamente non natalizio. Solo sette brani, ma di una lunghezza inusuale. La sua voce, sempre eterea e trascendente, le linee di piano, la batteria jazzata dell’ americano Steve Gadd (Clapton, Pino Daniele, Paula Simon, McCartney) , l’elettronica a spruzzi, il figlio tredicenne Bertie a cantare, sir Elton John che ci mette anche la sua voce, l’attore Stephen Frey che enumera 50 sinonimi di “neve”, soprani (Michael Wood) e contro-soprani (Stefan Roberts), fiabe, boleri, emozioni vittoriane, incontri con lo Yeti, laghi californiani (Lake Tahoe): tutto questo sta dentro le “50 parole per la neve”. Un mondo fantastico e misterioso che si immerge nel reale, ma con la struttura narrativa dei fratelli Grimm. Per le lunghe sere d’inverno. Ivano Fossati
Decadancing
(Capitol)
Ultimo disco e ultimo tour per Ivano Fossati che ha deciso di andare in pensione anzitempo. Dev’ essere un virus contagioso, visto che in parecchi quest’anno hanno comunicato la volontà di abbandonare le scene. “Dacadancing” è un titolo strano, fa pensare a un ballo sulle rovine dell’umanità, quello che potrebbero fare i sopravvissuti ad un olocausto nucleare. Ma non è così. Questo ultimo capitolo del libro musicale di Fossati è una gran bella chiusa. Riassume in sé la grandezza dell’autore e dell’interprete, in grado di volteggiare con leggerezza (da non confondere con la banalità) sul mondo che si sta auto-seppellendo, di inanellare canzoni piene di parole gonfie di significato. Non c’è da aspettarsi un neo-futurismo da Ivano Fossati. Ma semplicemente che ripeta la sua formula usuale, sempre uguale da quarant’anni eppure sempre diversa. Un classico, insomma, di quelli che non passano mai di moda. Per cui, per tirare le somme, “Dacadancing” è un gran disco con dentro grandi canzoni, tipo “Settembre”, una delle più belle conclusioni di un amore mai messe in musica. Triste, ma di quella tristezza che avvolge e purifica. Fossati si divide fra pubblico e privato, guarda il pubblico (leggi politico) con lo sguardo cinico di chi sa come va il mondo (male) e il privato con l’occhio di chi ha avuto la vita come maestra e sa che non c’è pozzo tanto profondo dal quale non si possa risalire.