Il modello di transizione tunisino,nato dopo la fuga dell’ex dittatore Ben Ali, prevede l'avvio di una fase costituente che darà vita alla nuova Costituzione. Gli islamici di Ennahda, vincitori delle prime elezioni libere nella storia del Paese, sono attesi da una laboriosa mediazione con le numerose forze laiche e religiose emerse dal voto. Il premier Jebali punta tutto su lotta alla disoccupazione e sviluppo delle regioni trascurate dal passato regime. Sono priorità che coincidono, per ora, con quelle della piazza, ma a celare le insidie maggiori sarà la scrittura della nuova Carta, specie quando si affronteranno i nodi della laicità, che Burghiba e Ben Ali avevano difeso a spada tratta, e giustizia. L’Occidente, dopo aver lungamente criticato il “modello turco” di Stato laico, ora lo vede come una soluzione auspicabile nei Paesi che, come la Tunisia, vengono da un’esperienza simile e si apprestano a riscrivere le loro regole. Il rischio concreto, qui come altrove, è che a livello popolare la laicità finisca per identificarsi con i regimi dittatoriali che per decenni l’hanno imposta.
‘Abbiamo ereditato un certo fascino, ormai superato,per la Rivoluzione khomeinista iraniana. Al contempo, però, temiamo che scenari come quello dell’Afghanistan dei talebani possano riproporsi da noi’, dice a Televideo Mustafa Tlili, tunisino, direttore dell'ufficio per il Medio Oriente del sindacato transnazionale Ituc. ‘Benché gli islamici abbiano rinunciato alla forma di Stato confessionale, in loro resta la convinzione che il Corano possa dare tante risposte. Le prossime elezioni tunisine saranno governate proprio dagli islamici moderati. L'uomo della strada, con il suo pragmatismo, è però pronto a punirli con il voto se non daranno risposte alle loro esigenze’.