di Rodolfo Fellini
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La ‘Primavera Araba’ è entrata in una seconda fase, in cui gli interrogativi superano di gran lunga le certezze. Egitto e Tunisia hanno avviato i processi elettorali che costituiscono una tappa decisiva verso la democrazia; la Libia teme le insidie del vuoto di potere lasciato da 42 anni di dittatura, mentre la rivolta siriana continua quotidianamente a mietere decine di vittime. Il convegno ‘La Primavera Araba: sfide economiche e sociali e ruolo dell’Europa’, promosso da Cnel e Ministero degli Esteri, ha fatto luce su un anno di rivolte popolari che hanno scosso gli equilibri non solo nei Paesi arabi, ma in tutto il Mediterraneo.
L’Europa, pur con qualche tentennamento, ha tentato di schierarsi immediatamente dalla parte degli insorti, abbandonando i patti di convenienza con i regimi dittatoriali, che garantivano stabilità, e in breve tempo ha scoperto che non necessariamente i processi in atto porteranno ai risultati che l’Occidente spera. Le nuove classi dirigenti arabe dovranno, dal canto loro conquistare legittimità, dando risposte concrete ai gravi problemi economici e sociali che un anno di rivolte non hanno fatto che acuire.
La domanda di fondo, che dovrebbe guidare la nuova dirigenza, è: ‘come superare le disuguaglianze?’, osserva Rabab al Mahdi, docente di Scienze politiche all’Università americana del Cairo. ‘La nostra rivoluzione è ancora incompleta, anche perché nessuno dei suoi attori ha ancora acquisito una personalità pienamente definita. Non sappiamo se ci saranno cambiamenti strutturali, ma sappiamo che sono necessari, perché a chiederlo è la piazza’.
Il tunisino Mustafa Tlili, direttore dell’ufficio mediorientale del sindacato supranazionale Ituc, nota come la protesta sia diffusa in tutte le capitali arabe, senza alcuna eccezione, e non solo nei Paesi su cui si sono concentrati i media. ‘Si tratta di un movimento storico senza precedenti, che si impernia soprattutto sulla lotta ai regimi autoritari. La transizione verso un’epoca nuova è in corso ovunque; qualcuno è più avanti, qualcuno più indietro, ma pur tra mille difficoltà e con mille differenziazioni si procede tutti insieme verso una meta comune’.
L’Europa è consapevole che poco si può fare per influire esternamente sugli sviluppi di quanto sta accadendo. ‘La crisi finanziaria mondiale e la ricerca di strumenti per fronteggiarla rendono ancor più difficile la scommessa della politica di vicinato’, sottolinea Francesca Santoro, presidente della Commissione politiche europee e Internazionali del Cnel. ‘Il rischio è che l’Europa si concentri solo su se stessa e perda di vista il Mediterraneo. La risposta europea si deve basare non sulla nostra percezione, ma sui fatti così come vengono esposti dai protagonisti delle rivoluzioni ancora in atto’.
‘Non serve un nuovo Muro di Berlino tra le due sponde del Mediterraneo’, ammonisce Giampiero Massolo, segretario generale della Farnesina. ‘I finanziamenti non dovranno per forza provenire dai dissestati bilanci nazionali o da quelli europei. Possono intervenire anche le istituzioni finanziarie internazionali, ma anche il settore privato, attraverso un’iniziativa pubblico/privato che promuova una necessaria integrazione regionale. Gli attori di questa integrazione devono essere un’Europa più forte e coesa e una classe dirigente nordafricana davvero stabile e nuova rispetto al passato. Entrambe le cose, però, sembrano ancora lontane’.