Il punto di vista


Stampa

Toghe, tra sedi vuote e ritardi

Intervista al presidente dell'Anm, Luca Palamara p

di Emanuela Gialli

E’ conosciuto come il “Tribunale di Gomorra”. Istituzionalmente è il Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere (Caserta). Qui i magistrati si occupano principalmente delle inchieste sui camorristi. Anche perché sono pochi per occuparsi di altri reati, come furti, rapine o estorsioni. Sulla carta dovrebbero essere 94 e invece sono rimasti in 72. A febbraio e a luglio di quest’anno sono stati pubblicati i bandi per coprire 21 posti di organico, ma nessun magistrato si è presentato. Allora il Consiglio superiore della magistratura ha inviato i Mot, i magistrati che hanno vinto il concorso pubblico e devono fare il tirocinio: quale migliore sede per farlo.

L’Anm è il sindacato dei magistrati. A Televideo, il suo presidente, Luca Palamara, ha risposto alla domanda se è vero che le toghe vogliono scegliersi solo posti comodi. Si è poi passati ad affrontare il più vasto problema della riforma della giustizia.

Nessun magistrato disposto ad andare al tribunale di Santa Maria Capua a Vetere, che si occupa delle indagini per lo più di camorra e dei Casalesi. Come mai?
Il problema degli organici è fonte di una grave situazione di disagio. Oggi dobbiamo fare i conti con una scopertura di circa il 20% e cioè su 10 mila magistrati in organico sono mille quelli che ancora mancano. Ciò determina una forte sofferenza soprattutto in quelle aree che sono maggiormente dominate da forme di criminalità. Tra queste, sicuramente va registrato il caso di Santa Maria Capua Vetere. Caso che è stato in parte risolto recentemente con l’assegnazione delle sedi ai soli vincitori di concorso. Una soluzione che consente di ovviare alle carenze di organico, che però non risolve definitivamente il problema.

Il dato però, Palamara, è allarmante. Non ci sono stati magistrati disponibili ad andare all’ufficio giudiziario di Santa Maria Capua Vetere.
Attenzione perché stiamo parlando di trasferimenti a domanda, quindi su base volontaria. Questa modalità di assegnazione a ruolo può determinare indubbiamente situazioni di scopertura in determinati uffici, che poi vengono colmati con le successive assegnazioni da parte del Consiglio superiore della magistratura dei vincitori di concorso, come dicevo. C’è è vero la necessità di risolvere il problema dei magistrati maggiormente esposti. E per questo io penso che comunque un passo in avanti si potrà fare quando si metterà mano alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, che consentirà di dislocare in modo diverso i tribunali sul territorio e sicuramente di accorpare i tribunali più piccoli, che potrebbero passare a strutture più funzionali.

Lei Palamara esclude che i magistrati vogliano scegliersi dei posti comodi? C’è ancora una generazione pronta a stare in prima fila?
E’ un lavoro che inevitabilmente deve avere una componente di emulazione. Da parte dei magistrati deve esserci l’attenzione, come sempre c’è stata, per le sedi giudiziarie. L’Anm ha fatto una battaglia: quella di consentire anche ai vincitori di concorso di poter assumere le funzioni monocratiche, quelle di pubblico ministero e di giudice, monocratico. Questo tipo di assegnazioni era stato sospeso nell’ultimo periodo. Noi, come Anm, non possiamo e non vogliamo comunque accettare l’idea di una magistratura che crea vuoti di organico in posti importanti.

Intanto, i carichi negli uffici giudiziari aumentano. E i ritardi, come nelle cause civili, che hanno portato l’Italia verso la procedura di infrazione dell’Ue. Le lentezze nella definizione dei processi a cosa sono dovute?
Innanzitutto, non lo dice l’Anm, ma lo dicono i principali rivelatori degli studi sull’efficienza dei sistemi giudiziari in Europa, in rapporto al lavoro fatto e alla quantità di cause, la produttività dei giudici italiani è tra le più alte in Europa. Vuol dire che tra le cause che entrano e quelle che vengono definite, il lavoro dei giudici italiani si colloca tra i primi posti in Europa. Però noi sulle spalle abbiamo un enorme debito, che sicuramente costituisce una delle cause che determinano le lungaggini dei processi.

Lei sta dicendo che i giudici non sono responsabili dei ritardi?
Infatti. Anzi, la Commissione europea ci dice il contrario. Però, l’arretrato c’è ed è imputabile a una serie di cause: le procedure farraginose, il fatto che negli anni si è accumulato questo debito, problemi nell’organizzazione, il numero enorme di avvocati in Italia, 200 mila, tra i più alti in Europa, che rischiano di creare una situazione di “imbuto”. Di fronte alla quale, un altro tema da affrontare è quello della domanda: cioè non tutto può essere portato davanti al giudice, perché altrimenti c’è la paralisi dei tribunali. Si pensi ad esempio alle controversie previdenziali dell’Inps, rispetto alle quali è necessario trovare dei sistemi deflattivi. Ma detto questo, la responsabilità dei giudici è un problema diverso.

Palamara, quali sono le priorità per il sistema della Giustizia italiano in questo momento, secondo Lei?
Noi abbiamo un’indicazione molto precisa dall’Europa, che ci chiede di ridurre del 20% il contenzioso civile. Di fronte a questa richiesta, dobbiamo dare una risposta precisa. Che, inevitabilmente, porta a individuare, a mio avviso, le priorità che possono consentire la realizzazione di questo risultato. Sono tre attualmente le priorità per la Giustizia italiana: a) l’organizzazione interna agli uffici, per creare strutture a disposizione del giudice, composte da personale amministrativo qualificato ed eventualmente da magistrati onorari; b) l’informatizzazione e la riduzione delle circoscrizioni giudiziarie. Qui occorre molto coraggio, perché attraverso una diversa dislocazione degli uffici giudiziari è possibile recuperare quelle risorse che purtroppo oggi difficilmente possono essere reperite.

Dunque una diversa articolazione di strutture e di risorse umane. Si è parlato anche in questi giorni di “processo unico”. Cosa vuol dire?
No so chi ha coniato il termine “processo unico” a cosa faccia riferimento. In effetti, nel processo civile, ad esempio, c’è la necessità di unificare i riti. Io comunque penso che oggi dobbiamo porci il problema se i tre gradi di giudizio sono indispensabili. Dobbiamo confrontarci su una revisione del sistema delle impugnazioni per snellire il processo, in modo che possa svolgersi in tempi ragionevoli. Di pari passo è però molto importante dare una seria risposta al tema dello smaltimento dell’arretrato, un vero e proprio fardello che ci portiamo dietro, sia nel settore civile che in quello penale.

Recentemente il vice presidente del Csm, Vietti, ha detto che i tre gradi di giudizio sono un “lusso” che noi, come sistema Giustizia Italia, “non possiamo più permetterci”. Vietti si riferiva più ai processi penali o più a quelli civili?
E’ un discorso generale. Certo, attualmente la priorità è la riforma del processo civile. Se vogliamo però essere realisti, dobbiamo chiederci se oggi il nostro sistema è in grado di sostenere compiutamente tre gradi di giudizio, nel penale e nel civile. Non si tratta di cancellare il grado di appello, ma di stabilire dei “paletti” per il sistema delle impugnazioni, in modo da evitare che l’esperimento di tutti i gradi finisca per affossare il sistema giudiziario. Occorre fare al più presto proposte concrete.

Voi ci avete già pensato? Di che tipo sono e come potrebbero essere articolate?
Sul sistema delle impugnazioni non c’è ancora nulla di specifico. A me persuade comunque il discorso che introduce nuovi “filtri” per ridare dignità al processo in Cassazione, che troppo spesso, negli ultimi anni, si è trasformato in un giudizio nel merito più che di legittimità, come previsto dalla legge. Bisogna selezione ulteriormente i motivi del ricorso alla Suprema Corte. Anche qui occorre un po’ di coraggio.