Il punto di vista


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Responsabilità civile dei giudici, un excursus storico-legislativo

A colloquio con il professor Trimarchi

di Emanuela Gialli

A questo punto è opportuno fare un excursus storico-legislativo sulla norma che ha introdotto la responsabilità civile dei giudici e sulla proposta avanzata quest’anno in Parlamento dalla maggioranza di modifica della normativa.

Nel 1987 i radicali, dopo il caso Tortora, promossero il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati. Fu raggiunto il quorum e vinse il sì all’abrogazione degli artt. 55, 56 e 74 del Codice di procedura civile, che escludevano la possibilità di chiamare il magistrato a rispondere in sede civile dei suoi errori, responsabilità del giudice. Un anno dopo, il Parlamento emanò una nuova legge, conosciuta come “legge Vassalli”, che introdusse la responsabilità civile indiretta del giudice, nei confronti del quale lo Stato, che avrebbe risposto in modo diretto degli eventuali errori, poteva esercitare un’azione di rivalsa, ma solo nei casi di “dolo o colpa grave” (art. 2, comma 1) , escludendo gli errori in sede di interpretazione della legge (art. 2, comma 2).

Nel 2010 inizia al Senato l’iter per l’approvazione del disegno di “legge comunitaria”, a seguito alle procedure di infrazione comminate dall’Ue all’Italia, in vari settori. Il disegno di legge, approvato dal Senato è passato alla Camera nel febbraio scorso. Qui è stata introdotta una specifica disposizione (art. 18) in materia di responsabilità civile dei magistrati, conosciuta come “emendamento Pini” dal nome del suo relatore, il deputato della Lega Nord, Gianluca Pini con la quale si cancellava il comma 2 della legge Vassalli e all’art. 1, si sostituiva la formula “dolo e colpa grave” con “manifesta violazione del diritto”. L’Aula di Montecitorio però, nella seduta del 26 luglio, ha disposto, dopo l’approvazione di un emendamento della Commissione Politiche dell’Unione Europea, cui era tornato per l’esame, la soppressione dell’art. 18 del disegno di legge comunitario.

A novembre, dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea, alcuni in ambito politico e parlamentare sono tornati a invocare l’”emendamento Pini”.

Perché Professor Trimarchi?
Perché si vuole allargare la responsabilità del giudice, in base a considerazioni che non sono fondate su una sufficiente ponderazione del problema, richiamandosi a una pretesa richiesta europea che non esiste. In realtà il discorso è fondato sull’equivoco. La sentenza è chiara e dice che lo Stato deve rispondere. La responsabilità dello Stato è questione diversa da quella della responsabilità del giudice. Se proprio ci si vuole riferire all’Europa, conviene ricordare che la Carta europea sullo Statuto dei giudici del luglio 1998, elaborata nell’ambito di lavori promossi dal Consiglio d’Europa, raccomanda, per certi casi di errori giudiziari, la responsabilità dello Stato e poi aggiunge che “può prevedersi”, e non che “si deve prevedere”, una rivalsa dello Stato nei confronti del giudice, comunque limitata quantitativamente e prevista solo nelle ipotesi di violazione “grossolana e inescusabile delle regole nel cui ambito si svolge la sua attività”.

Questo vuole dire dunque che, tradotto in modo grossolano, per l'Europa in questa questione referenti e responsabili, sono solo gli Stati?
D’altra parte, per il risarcimento del danno, che è la sola cosa che interessa al diritto europeo, la responsabilità del giudice non è necessaria, né sufficiente. Non è necessaria, perché il risarcimento può essere assicurato dallo Stato, e non è sufficiente perché fra le migliaia di cause che un giudice deve affrontare nel corso della sua vita professionale, e che non può scegliere, si noti, ve ne possono essere di ammontare enorme, dove un eventuale errore può cagionare danni che egli non sarebbe mai in grado di risarcire e che nessuna società di assicurazione sarebbe disposta a coprire. Chi sostiene che il giudice dovrebbe essere colpito, di fronte a questo tipo di obiezioni afferma che in fondo il giudice si può anche assicurare. Ma, in primo luogo, le assicurazioni operano fino a un certo massimale, e in secondo luogo non si può sostenere la responsabilità civile del giudice, affinché subisca una pressione che lo spinga a decidere bene, per poi dire che in fondo non si deve preoccupare perché si può assicurare. Questi sono discorsi contraddittori.

La responsabilità civile del giudice può essere effettivamente di aiuto?
No, a mio avviso non solo non è utile, ma sarebbe dannosa. Un processo nel quale il giudice, invece di essere del tutto indifferente dal punto di vista degli interessi personali rispetto alla soluzione che adotta, debba temere ogni volta che la decisione che gli sembra corretta colpisca interessi economici enormi non è sereno. Senza considerare che potrebbero esserci degli avvocati particolarmente aggressivi che potrebbero arrivare ad assumere la fama di fare spesso causa ai giudici allo scopo di essere ascoltati di più e questo non è compatibile con una serena atmosfera del processo. Che si debbano apprestare delle tutele per il cittadino contro gli errori giudiziari, che purtroppo sono sempre possibili, è giusto. Ma ci sono altri strumenti. Prima di tutto c’è la responsabilità disciplinare, che non presenta i difetti e le possibili asimmetrie della responsabilità civile. E poiché la responsabilità civile dovrebbe pur sempre essere pronunciata da un altro giudice, allora è preferibile cercare di assicurare meglio che questi intervenga efficacemente, e soprattutto rapidamente, per eliminare la pronuncia errata. Il più grande problema per la giustizia italiana è e resta la lentezza dei processi.

Una sentenza potrebbe arrecare un danno a una delle parti. Ma ad esempio una sentenza di assoluzione potrebbe essere ugualmente dannosa come una pronuncia di condanna. Chi potrebbe ponderare realmente il danno?
Nel processo penale, se si sbaglia condannando si procura un danno gravissimo all’innocente; se si sbaglia assolvendo, si provoca un danno gravissimo alla collettività, ma quest’ultimo è un danno per il quale è impossibile far operare una responsabilità civile. Un giudice che si preoccupi degli interessi propri più che del bene pubblico tenderà ad assolvere anche quando non dovrebbe, per non rischiare una responsabilità per danni. Questo è solo un esempio di una grave distorsione del processo decisorio.