di Francesco Chyurlia
La speculazione è come un avvoltoio. Si getta senza pietà sulle prede più fragili, quelle che mostrano segni di debolezza o che non hanno nessuno che possa o voglia difenderle. In una comunità sana e ben organizzata gli individui più forti sono lì, pronti a difendere i simili in difficoltà, scacciando i predatori con tutte le armi a disposizione. Questa forma di solidarietà animale, che si traduce nell’assunto: “Prima o poi tocca a tutti ritrovarsi a rischio di sopravvivenza”, non vale in tutte le comunità organizzate.
Nella Comunità europea stenta a concretizzarsi quel sentimento di gruppo che servirebbe a salvaguardarla dalla sua stessa estinzione. Come sostiene l’economista Marcello De Cecco (in un saggio di circa un anno fa) l’unione monetaria europea è “nata in fretta e furia” per partorire una moneta, l’euro, che “imbrigliasse la potenza tedesca, rendendola inoffensiva, ma che escludesse l’unione politica” dell’Europa.
L’Euro nasce dalla volontà dell’allora presidente francese Francois Mitterand di porre un argine alla Germania che, dopo la riunificazione, minacciava nei fatti di imporre a tutti gli altri stati dell’Europa geografica la sua incontestabile supremazia. Una supremazia economica e monetaria, con un marco di gran lunga più forte delle altre divise. Senza aver la pretesa di contestare il principio della irrinunciabilità dell’euro (soprattutto nell’attuale situazione di crisi), è però utile analizzare alcuni dei motivi che ci hanno portato, a fine 2011, dentro una crisi scoppiata negli Usa nel 2008 (per l’avventatezza delle banche Usa che erogavano mutui immobiliari senza controlli), e che ora ha motivazioni e provenienze del tutto diverse da quelle di tre anni fa.
Ormai, gran parte degli economisti e degli osservatori più acuti, individuano proprio nella supremazia e nel pur legittimo “egoismo” della Germania, il nodo della crisi. La Germania, paradossalmente è il problema, ma anche la soluzione dell’impasse che vive drammaticamente l’Italia, uno dei Paesi fondatori dell’Europa e che ha partecipato, con non pochi sacrifici, alla creazione dell’euro pagando a caro prezzo quella sorta di “spread” che ci venne imposto dai nostri partner europei tra monete forti (marco in testa) e lira.
La Germania, che tanto ha operato per definire i rigorosi parametri di Maastricht (ai quali tutti i Paesi di Eurolandia si sono assoggettati) è stata la prima a snobbare le regole che lei stessa ha definito. Andrea Tarquini, in un lungo articolo per Limes, ricorda:”La Germania che alza la voce con i partner europei, ripete ostinatamente che non verserà un centesimo per i Paesi spendaccioni, proprio questa Germania ha violato più volte, e gravemente, i limiti di disavanzo corrente e debito pubblico, rispettivamente il 3% e il 60% del Pil, posti da Maastricht e dal Patto di stabilità come condizione d’appartenenza all’Unione monetaria”.
All’epoca di Helmut Kohl, unificatore delle due germanie, la banca centrale tedesca, la Bundesbank, non gradiva affatto l’idea di cedere parte della propria sovranità monetaria per dar vita ad una moneta europea unica. Ma dopo una lunga gestazione, all’inizio di questo secolo, è nato l’euro e con esso la Bce (Banca centrale europa).
Anche se, come dichiara Michael Sturmer in un articolo dal titolo ‘La moneta senza storia alla prova della storia’, “in segreto i tedeschi continuano a contare nel caro vecchio marco”. Jacques Delors, presidente della Commissione europea nel 1988, diceva con ironia: ”Non tutti i tedeschi credono in Dio, ma tutti credono nella Bundesbank”. Non a caso la sede della Bce è proprio a Francoforte. L’Italia, nell’occhio del ciclone della crisi attuale, attrice protagonista nel salvataggio dell’Unione monetaria europea, vede contrapporre i suoi titoli di Stato non con quelli di uno stato estero, ma proprio con quelli di Berlino. Una lotta intestina tra partner europei che stentano a solidarizzare per salvare quest’Europa febbricitante.
Anche la sopravvivenza del nostro Paese, guarda un po’, si gioca nella partita Italia-Germania. Uno dei maggiori esperti di economia globalizzata, l’economista Maurizio Guandalini sostiene che “la chiave di tutto è la Germania. Un Caterpillar che si è scavato la fossa:il debito si accentua, i bund rimangono invenduti e l’economia non tira più”. Per molti osservatori, Berlino non prende in considerazione il fatto che la speculazione è in agguato, anche per la Germania che ha anch’essa un debito pubblico stellare.
E gli Usa? E la Cina? Che fanno i due colossi di fronte a questa crisi che dall’America si è traferita in Europa? Il presidente Obama è preoccupato, teme il contagio. Teme che come un boomerang il virus della crisi esportata nel Vecchio Continente ritorni negli Stati Uniti: questo è il rischio della globalizzazione.
E poi se la politica monetaria di Mario Draghi, presidente della Bce, portasse a un indebolimento dell’euro sul dollaro, cosa ne sarebbe dell’export americano che per anni si è avvantaggiato di un euro troppo forte rispetto al suo reale valore? Diverso è il problema della Cina. Come sostiene Francesco Sisci: “A dispetto dei timori, Pechino vuole un mondo in pace, per proseguire indisturbata nel proprio sviluppo. Per questo in cuor suo contava sull’Europa come contrappeso geopolitico-economico agli Usa”. Ora con Grecia, Spagna e Italia in crisi e forse in recessione, tutto è più difficile.