Rapporto Censis 2011


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Un po' di dolore, un po' di vergogna

La descrizione di una fragile Italia da far ripartire i

di Rita Piccolini

La citazione esatta del professor De Rita nelle considerazioni generali che introducono al rapporto Censis sullo stato sociale del nostro Paese in questo tormentato 2011 recita:”Partim dolore, partim verecondia”, cioè per l’appunto: con quel po’ di dolore e quel po’ di vergogna con cui “abbiamo vissuto in questi ultimi mesi una retrocessione evidente della nostra immagine nazionale dovuta alla caduta del nostro peso economico e politico nelle vicende internazionali ed europee”.

“Sono un reazionario?” domanda ironico il presidente del Censis alla platea di professori, economisti, sociologi accorsi ad ascoltare la sua analisi. “L’uso del Latino farebbe pensare di sì’” si auto risponde. Ma non basta. Al termine delle considerazioni un’altra citazione importante, sempre in Latino, questa volta di Tommaso d’Aquino, un conservatore per eccellenza, che dice:”Non ratio est censura rerum, sed potius e converso”.Cosa significa? “Che se è giusto che uomini ragionevoli , quando serve, mettano ordine alla realtà, è anche accettabile qualche volta che sia la realtà a mettere ordine”. Banalizzando si potrebbe dire: facciamo di necessità virtù e cerchiamo di trovare una soluzione a questa crisi che rende il nostro un Paese “fragile, isolato ed eterodiretto”.

Esiste una ricetta per salvarlo dal disastro economico e da un consistente rischio di deriva nazional-.popolare? Certamente, e per il professore è sintetizzabile in cinque punti. Per tenere dritta la barra e non cadere vittime del peronismo, in un miscela esplosiva di qualunquismo da una parte, di nazionalismo demagogico e di difesa del sociale a oltranza in cui ognuno pensi soltanto a salvare se stesso dall’altra, occorre puntare al rilancio dell’economia reale; a progetti di lunga durata; a una coesione interna che faccia uscire allo scoperto i conflitti sociali potenziali e ancora sotterranei; alla valorizzazione dei nuovi “format” relazionali; al recupero di una vera rappresentanza politica autorevole e condivisa.

Qualunque cosa accada nei prossimi giorni, che il Paese si salvi o vada al “default”, che si consolidi l’euro o si torni alle vecchie monete nazionali, solo le strategie economiche a medio e lungo termine, sostenute da robuste analisi sociali, potranno salvarci. Ormai si vive alla giornata, spiega il professore, si attende di giorno in giorno, o piuttosto di ora in ora, la risposta dei mercati. Si fa fronte all’emergenza con continue manovre, una dietro l’atra, ben quattro in tre mesi, ma sempre sotto il fuoco incrociato della speculazione finanziaria internazionale, sempre per evitare il crollo immediato, per rispondere a ricatti finanziari. Ma con la finanza non si fa sviluppo e innovazione e da qui la necessità di tornare al Paese reale, concreto, recuperando “lo scheletro contadino”, quello cioè portante della nostra economia.

Antonio Marzano, presidente del Cnel, nella cui sede viene tradizionalmente presentato il rapporto Censis, lo aveva del resto sottolineato introducendo i lavori. Per reagire agli attacchi esterni, al peso enorme del debito pubblico, alla disoccupazione e alla crisi economica non si può solo rispondere con soluzioni micro-individuali, piccoli obiettivi di nicchia. Per lo sviluppo dell’economia reale e necessario tornare “fare sistema”. Segnali positivi, nonostante tutto ci sono, dice Marzano. Il “made in Italy” continua a esportare (+16% in un anno) . Bisogna che si torni ad avere fiducia in noi stessi. Dal rapporto emerge con evidenza che se serve gli italiani sono disposti a fare sacrifici (quasi il 50%), per dare slancio a un Paese che sia giusto, solidale, autorevole e rispettato all’estero per le proprie indiscutibili capacità. I punti di forza ci sono: la famiglia prima di tutto, che è ancora forte e che finora ha fatto fronte alle difficoltà sociali facendosene carico in prima persona, aiutando figli disoccupati o anziani in difficoltà, ma che non può resistere a lungo se non vengono date riposte strutturali adeguate, soprattutto di sviluppo e crescita. Poi ci sono i valori che ci hanno reso importanti e apprezzati nel mondo: il nostro immenso patrimonio artistico, culturale e paesaggistico. Per non parlare del nostro stile di vita, sempre più attento alla natura, alla qualità. Nel valorizzare questa dote straordinaria c’è una prima risposta alla crisi, prendendo nello stesso tempo di petto i punti di criticità del sistema Italia. La formazione carente prima di tutto in tutti i settori sociali e a tutti i livelli, a cui si accompagna una drammatica crisi della lingua italiana, che coinvolge dai giovani ai parlamentari in guerra dichiarata con i congiuntivi.

E poi è sempre più necessario dare risposte chiare al Paese, spiega il professor Roma, direttore del Censis. Il perché siamo piombati all’improvviso in questa crisi economica-finanziaria drammatica è un enigma per la maggior parte degli italiani. Non se ne comprendono del tutto né l’origine né la finalità, dal momento che il nostro debito pubblico paradossalmente alto lo è da almeno 15 anni, con uno sviluppo fiacco da almeno 10. Cosa sta capitando proprio ora? «Siamo fragili a causa di una crisi che viene dal non governo della finanza globalizzata e che si esprime sul piano interno con un sentimento di stanchezza collettiva e di inerte fatalismo rispetto al problema del debito pubblico». Oltre agli attacchi speculativi della finanza internazionale c’è un crollo della produttività e un deficit di classe dirigente che gli italiani pretendono ora che sia più onesta sia nel pubblico che nel privato. A partire dal 2008 c’è stata meno capacità di riorganizzare il processo produttivo. Il terziario è arretrato. Nei servizi cresce la domanda, diminuisce l’offerta. L’intera sistema formativo è fuori centro. Ci sono troppi abbandoni scolastici, sia nella scuola media superiore che all’università. Poi c’è troppa formazione generica:troppo liceo, poca preparazione professionale. Così i giovani non lavorano. Negli ultimi quattro anni quasi un milione di ragazzi ha perso il posto di lavoro. Un giovane su quattro dai 15 ai 29 anni non studia né lavora.

Da dove ripartiamo? Nella società italiana ci sono molti punti di forza. L’export, ad esempio. Dobbiamo crescere in geografia, esportando di più nel resto del mondo, anche in zone a noi vicine: in Turchia piuttosto che in Polonia, tra le nuove realtà sociali che si affacciano alle sponde del Mediterraneo, nei Paesi della fascia balcanica. Nessuno ci può contendere la qualità del nostro “brand” territoriale, la grandezza del nostro patrimonio artistico, l’eccellenza della nostra tradizione eno-gastronomica. Inoltre dobbiamo crescere in socialità e fare rete.

Anche Roma sottolinea infine quanto dal rapporto emerga l’importanza della famiglia come ammortizzatore sociale, che tuttavia va via via esaurendosi, perché ormai si risparmia meno. Si consuma anche meno, ma meglio, e il nostro “life style” è famoso nel mondo e accresce la nostra buona reputazione. Siamo più apprezzati all’estero di quanto immaginiamo, siamo al 14° posto in un elenco di 50 Paesi. Godiamo di una stima maggiore di quanto ne accordiamo a noi stessi. Dobbiamo avere maggiore autostima e darci fiducia, anche da qui si può ripartire.